Brittany Howard
What Now
Il miglior complimento che si possa fare a Brittany Howard (Alabama Shakes) per il suo secondo album solista è che si tratta di un disco indefinibile. Un po’ come se Curtis Mayfield e Prince si mettessero a fare musica con Cassandra Wilson e David Sylvian in un futuro prossimo e in un’altra dimensione. Il fonico e produttore Shawn Everett, che con l’artista aveva già collaborato in passato, le ha lasciato carta bianca avvolgendo il suo “oceano di armonie vocali” in una coperta di suoni pulsanti, ronzanti e tintinnanti che amplificano l’atmosfera spettrale di canzoni popolate da fantasmi del passato: tenendo talvolta a freno le sue potentissime corde vocali, Brittany sembra volere aggiornare certi canoni del soul classico in I Don’t e in Patience, i pezzi più immediati del disco, mentre tra le vertigini di Red Flags si spinge oltre la sua (e la nostra) comfort zone; altrove – Earth Sign, To Be Still, Samson (con la tromba di Rod McGaha) – la sua nuova, sfuggente lingua musicale incorpora il vocabolario del jazz contemporaneo inseguendo traiettorie melodiche e armoniche inusuali. WHAT NOW ha anche un moderno cuore ritmico che si manifesta nel techno funk e nei groove di Another Day, di Prove It To You e della title-track (“il pezzo più sincero e più triste dell’album”), prima che la chitarra distorta e princiana di Power To Undo e gli umori jazzy di una Every Color In Blue dalla struttura circolare chiudano un disco impegnativo, a volte spiazzante ma anche coraggioso e stimolante di cui forse si coglierà la vera essenza solo tra qualche tempo.