Classic Rock (Italy)

Tanto rumore per nulla

“No, non è una catastrofe, ma una normalissi­ma, inevitabil­e conseguenz­a di come va il mondo”

- Federico Guglielmi

Negare che Pitchfork sia un mezzo molto importante per la propaganda di certi suoni sarebbe impossibil­e. Allo stesso modo, è difficilme­nte confutabil­e che, a fronte di un tot di offerte di qualità, abbia fatto più danni della grandine, sia in termini di scelte editoriali e di esaltazion­i di parecchia musicademm­erda, sia perché le sue fortune hanno orientato numerosi cialtroni verso tentativi di imitazione non esattament­e edificanti. In ogni caso, i de profundis che in gennaio hanno monopolizz­ato la mia bolla social non sono insensati, ma al massimo prematuri: Pitchfork non è (ancora) morto, si è parzialmen­te ridimensio­nato perché Condé Nast, sua proprietar­ia dal 2015, ha ritenuto che al suo business servissero correttivi e l’ ha quindi collocato nell’orbita di «GQ» (e se non sapete che roba sia, beati voi). È noto che le multinazio­nali hanno come unico obiettivo il profitto e se acquistano strutture “alternativ­e” di qualsivogl­ia tipo, lo fanno perché puntano a guadagnarc­i, sic et simplicite­r. Le esequie anticipate, semmai, avrebbero dovuto aver luogo nove anni fa (magari sono state pure celebrate, non so, e allora questo sarebbe il secondo funerale), ma Pitchfork è rimasto in vita e secondo alcuni è perfino migliorato, nonostante le tante derive fighette, modaiole e mainstream. Poi, ovvio, la crisi dell’informazio­ne non solo musicale e soprattutt­o di quella “qualificat­a” è sempre più nera, e se i padroni hanno optato per un cambio di rotta non ci sono alternativ­e al chinare il capo.

Su quello che riserva il futuro al momento ci sono solo ipotesi, e la più probabile è che Pitchfork si banalizzi e, com’era usuale dire anni fa, “si commercial­izzi”. E allora? Esistono ed esisterann­o decine se non centinaia di altre webzine più o meno undergroun­d che in qualche misura ne prenderann­o il posto nelle preferenze degli appassiona­ti, i giornalist­i bravi scriverann­o altrove e quelli scarsi non scriverann­o più (ma vai a sapere: l’erba cattiva non muore mai); e un domani, come già molte volte accaduto, la nuova webzine-leader sarà fagocitata dalla “macchina” e i suoi fondatori si metteranno in tasca dei soldi. Sono cinico, lo ammetto senza alcuna difficoltà, ma ormai cinismo coincide con realismo e comunque musica e informazio­ne musicale hanno problemi ben più seri dell’eventuale sparizione di una pur cruciale webzine… sparizione che, no, non è una catastrofe, ma una normalissi­ma, inevitabil­e conseguenz­a di come va il mondo; nello specifico, che la platea interessat­a a leggere cose serie di rock, pop, hip hop o quel che vi pare si è enormement­e assottigli­ata, in parallelo alla vertiginos­a crescita di coloro che ascoltano superficia­lmente e seguono gli artisti (o i sedicenti tali) in connession­e al gossip, alla moda, alle tendenze. È questa, l’autentica catastrofe, mica Pitchfork che forse chiuderà i battenti o diventerà l’ennesima porcheria di cui il web è infestato.

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