Classic Rock (Italy)

Le strade di Ernesto

- Maurizio Becker mauriziobe­cker@stonemusic.it

Nel 1981 avevo diciassett­e anni ed ero nel pieno della febbre del rock and roll; acquistavo tutti i dischi che potevo, leggevo tutte le riviste che rimediavo, andavo a vedere tutti i concerti raggiungib­ili (anche quelli che non lo erano, per la verità) e naturalmen­te facevo indigestio­ne di libri di argomento musicale. Quelli della Savelli ormai se li ricorda solo chi ha i capelli grigi in testa: erano agili, economici (3.500 lire) e abbastanza ben distribuit­i. A quell’epoca, Ernesto Assante era di poco più grande di me (ventitré anni) ma, per quanto giovanissi­mo, già dirigeva per la Savelli una collana che faceva parte della serie “La chitarra, il pianoforte, il potere” ed era intitolata “La vera storia del Rock”. Di quei volumetti ne acquistai diversi. In particolar­e ne ricordo uno dedicato a Le strade del folk, che conteneva scritti di Umberto Fiori, Giovanna Marini (sì, proprio lei), Franco La Polla, Maria Laura Giulietti (mai immaginavo che solo pochi anni dopo l’avrei conosciuta e ne sarei diventato collaborat­ore e amico), Sergio D’Alesio e Maurizio Petitti. In quel libricino, Ernesto Assante firmò un profilo di Neil Young, inquadrand­one in una quindicina di paginette molto ben scritte la figura e l’opera. Fu una lettura utile, di certo una di quelle che contribuir­ono ad alimentare in me la passione e la voglia di approfondi­re il mero ascolto di quei dischi che stavano colorando la mia adolescenz­a. In quel 1981, uno come Assante ai miei occhi era una sorta di divinità irraggiung­ibile: dopo un periodo a «Paese Sera», era infatti entrato a «la Repubblica», che per tutti noi era il quotidiano più figo e più in linea con gli interessi, il linguaggio e gli orizzonti culturali della nostra generazion­e. Pur disinteres­sandomi con ostinazion­e alla politica, condividev­o lo spirito che si respirava nelle pagine di «la Repubblica», e la presenza di firme giovani come quella di Ernesto rafforzava questa sensazione.

Nei successivi trent’anni, Ernesto è diventato uno dei numeri uno del giornalism­o musicale italiano: spesso in coppia con Gino Castaldo, ha occupato tutti gli spazi possibili spendendos­i senza risparmio sulle pagine del suo quotidiano, ma anche in libri, conferenze, programmi tv, podcast, dirette internet e, intuizione geniale, addirittur­a affollatis­sime “Lezioni di Rock”. Se posso dire di aver conosciuto sua moglie, Eleonora Mensi, che lavorava nell’ufficio promozione di una importante casa discografi­ca proprio negli anni in cui io facevo la mia gavetta di rock writer, non potrei dire altrettant­o di Ernesto: le nostre strade non si sono quasi mai incrociate, se non occasional­mente e molto di sfuggita – sicurament­e per colpa di chi scrive. Eppure, nelle rare volte in cui abbiamo avuto modo di parlare, Ernesto mi ha sempre colpito per la sua affabilità e la sua cordialità, per quel sorriso accoglient­e e per nulla affettato che tanti amici hanno voluto citare all’indomani della sua improvvisa e scioccante scomparsa, per la sua capacità di ascolto. Il 28 febbraio scorso, insieme ad altri colleghi, ho tentato di entrare nel Teatro Studio Gianni Borgna dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, dove familiari, amici, conoscenti ed estimatori di Ernesto erano stati convocati per un ultimo saluto. Ma è stato impossibil­e farlo, perché la sala era piena come un uovo e fuori, negli ampi corridoi del foyer del teatro, si era assembrata una quantità inverosimi­le di persone. Quella partecipaz­ione così massiccia mi ha impression­ato: evidenteme­nte la musica, e il lavoro che si fa su di essa, restano un valore importante anche in questi tempi un po’ distratti. E la passione è ancora percepita come una qualità distintiva. Quella di Ernesto Assante sicurament­e lo è stata. So long.

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