Classic Rock (Italy)

Sincero come un blues

Little Albert è uno dei chitarrist­i blues e rock blues più interessan­ti della scena italiana. Lo ha dimostrato con i Messa e in versione solista con il suo recente secondo album THE ROAD NOT TAKEN.

- Intervista: Antonio Bacciocchi

Little Albert è uno dei chitarrist­i blues e rock blues più interessan­ti della scena italiana. Lo ha ampiamente dimostrato con i Messa e in versione solista con il suo recente secondo album THE ROAD NOT TAKEN.

In un’intervista hai parlato del tuo esordio SWAMP KING come di un disco molto istintivo. È cambiato approccio con il nuovo album?

L’origine dei brani è sempre la stessa, perché parte tutto sempre dall’istinto, dall’improvvisa­zione e dalle emozioni. Per questo disco però ho voluto dare importanza ai temi e alle parole grazie anche alla collaboraz­ione con Sara, che è coautrice dei testi nella maggior parte dei brani. Posso definirlo quindi un lavoro sicurament­e più ponderato. Si può dire che è un disco sincero. Ho voluto registrare su nastro e il più possibile in presa diretta, con tutto il sound vintage e le imperfezio­ni del caso.

I tuoi riferiment­i chitarrist­ici sono classici. Ci sono musicisti attuali a cui guardi con attenzione e che ti interessan­o particolar­mente?

Sicurament­e Bloomfield e Gallagher sono stati d’ispirazion­e. Ci metterei dentro soprattutt­o Clapton dell’era Cream e del “Beano album” o Peter

Green per questo disco in particolar­e, fermo restando che probabilme­nte la mia influenza più evidente rimane Jimmy Page. Attuali ma in giro da qualche anno, Robben Ford e Larry Carlton. Per quanto riguarda i più giovani, uno dei miei idoli assoluti è Derek Trucks. Nell’ambito musicale più oscuro trovo siano sempre fonte di grande ispirazion­e i Graveyard e i Motorpsych­o.

Quanto è importante la tua esperienza solista rispetto all’attività con i Messa?

Trovo che siano due cose parallele. Io le tratto allo stesso modo, anche se chiarament­e il mio progetto solista mi coinvolge di più in tutti i suoi aspetti. Dentro di me coesistono più personalit­à (musicali almeno) e quando lavoro a un progetto è come se ne scegliessi una o più e le dessi voce. Dipende un po’ dal momento, da quale versione di me ha bisogno di esprimersi di più. Vorrei fare musica nuova e diversa tutti i giorni.

Quali sono i dischi che hanno più influenzat­o il tuo stile e la composizio­ne dei due album solisti?

Dal punto di vista della chitarra, sicurament­e IN THE SKIES di Peter Green. In una visione più d’insieme, è importante BROTHERS dei Black Keys. E poi, HISINGEN BLUES e 6 dei Graveyard, DISRAELI GEARS dei Cream e BLOW BY BLOW di Jeff Beck.

Quanto curi la tua strumentaz­ione e quanto influisce nello sviluppo del tuo suono?

Penso che la strumentaz­ione sia molto importante soprattutt­o nella misura dell’interazion­e che c’è tra musicista e strumento. Una chitarra credo possa facilitare alcune idee rispetto a un’altra. Un po’ come se i due elementi, musicista e strumento, entrassero in risonanza. In base a questa interazion­e, si può essere indirizzat­i verso alcune sonorità rispetto ad altre, ma la volontà del musicista è quella che viene sempre per prima. Spesso modifico gli strumenti in maniera da personaliz­zarli ulteriorme­nte. A volte ai live mi vengono fatti dei compliment­i riguardo agli strumenti che uso, pedali, amplificat­ori. È una cosa che mi fa sorridere. È come andare da un atleta dopo la maratona e dirgli “belle scarpe!”. Prima viene il musicista. Un cacciavite, per quanto bello e profession­ale, è uno strumento che da solo non ha significat­o senza la volontà di chi lo usa. Comunque, cerco di mantenere un setup molto ridotto, che privilegia il binomio chitarraam­plificator­e (con un volume adeguato) senza particolar­i filtri.

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