Sincero come un blues
Little Albert è uno dei chitarristi blues e rock blues più interessanti della scena italiana. Lo ha dimostrato con i Messa e in versione solista con il suo recente secondo album THE ROAD NOT TAKEN.
Little Albert è uno dei chitarristi blues e rock blues più interessanti della scena italiana. Lo ha ampiamente dimostrato con i Messa e in versione solista con il suo recente secondo album THE ROAD NOT TAKEN.
In un’intervista hai parlato del tuo esordio SWAMP KING come di un disco molto istintivo. È cambiato approccio con il nuovo album?
L’origine dei brani è sempre la stessa, perché parte tutto sempre dall’istinto, dall’improvvisazione e dalle emozioni. Per questo disco però ho voluto dare importanza ai temi e alle parole grazie anche alla collaborazione con Sara, che è coautrice dei testi nella maggior parte dei brani. Posso definirlo quindi un lavoro sicuramente più ponderato. Si può dire che è un disco sincero. Ho voluto registrare su nastro e il più possibile in presa diretta, con tutto il sound vintage e le imperfezioni del caso.
I tuoi riferimenti chitarristici sono classici. Ci sono musicisti attuali a cui guardi con attenzione e che ti interessano particolarmente?
Sicuramente Bloomfield e Gallagher sono stati d’ispirazione. Ci metterei dentro soprattutto Clapton dell’era Cream e del “Beano album” o Peter
Green per questo disco in particolare, fermo restando che probabilmente la mia influenza più evidente rimane Jimmy Page. Attuali ma in giro da qualche anno, Robben Ford e Larry Carlton. Per quanto riguarda i più giovani, uno dei miei idoli assoluti è Derek Trucks. Nell’ambito musicale più oscuro trovo siano sempre fonte di grande ispirazione i Graveyard e i Motorpsycho.
Quanto è importante la tua esperienza solista rispetto all’attività con i Messa?
Trovo che siano due cose parallele. Io le tratto allo stesso modo, anche se chiaramente il mio progetto solista mi coinvolge di più in tutti i suoi aspetti. Dentro di me coesistono più personalità (musicali almeno) e quando lavoro a un progetto è come se ne scegliessi una o più e le dessi voce. Dipende un po’ dal momento, da quale versione di me ha bisogno di esprimersi di più. Vorrei fare musica nuova e diversa tutti i giorni.
Quali sono i dischi che hanno più influenzato il tuo stile e la composizione dei due album solisti?
Dal punto di vista della chitarra, sicuramente IN THE SKIES di Peter Green. In una visione più d’insieme, è importante BROTHERS dei Black Keys. E poi, HISINGEN BLUES e 6 dei Graveyard, DISRAELI GEARS dei Cream e BLOW BY BLOW di Jeff Beck.
Quanto curi la tua strumentazione e quanto influisce nello sviluppo del tuo suono?
Penso che la strumentazione sia molto importante soprattutto nella misura dell’interazione che c’è tra musicista e strumento. Una chitarra credo possa facilitare alcune idee rispetto a un’altra. Un po’ come se i due elementi, musicista e strumento, entrassero in risonanza. In base a questa interazione, si può essere indirizzati verso alcune sonorità rispetto ad altre, ma la volontà del musicista è quella che viene sempre per prima. Spesso modifico gli strumenti in maniera da personalizzarli ulteriormente. A volte ai live mi vengono fatti dei complimenti riguardo agli strumenti che uso, pedali, amplificatori. È una cosa che mi fa sorridere. È come andare da un atleta dopo la maratona e dirgli “belle scarpe!”. Prima viene il musicista. Un cacciavite, per quanto bello e professionale, è uno strumento che da solo non ha significato senza la volontà di chi lo usa. Comunque, cerco di mantenere un setup molto ridotto, che privilegia il binomio chitarraamplificatore (con un volume adeguato) senza particolari filtri.