St. Vincent
All Born Screaming
Nel 2021, con DADDY’S HOME, Annie Clark alias St. Vincent si era staccata dall’ancor precedente, pirotecnico MASSEDUCTION per imboccare una strada che banalizzando si potrebbe definire filo-intimista. Chiaramente, non era una metamorfosi radicale, perché nel primo c’erano comunque ballate e nel secondo non mancavano brani più ritmici/accesi della media, ma mood e orientamento generale possono essere sintetizzati in questi termini. ALL BORN SCREAMING, che per inciso è il primo lavoro in cui l’artista americana rinuncia a un coproduttore per gestire ogni aspetto in prima persona (benché con aiutini di Justin Meldal-Johnsen e/o Cate Le Bon in parte dei pezzi), si orienta nuovamente su toni più o meno soft e su arrangiamenti policromi, ricchi ed eleganti ma privi di ridondanze; non è un mistero che St. Vincent non condivida granché la filosofia del “less is more”, così come non lo è certo la sua abilità nel bilanciare i numerosi elementi in gioco evitando le cadute nel kitsch. Intensissimo dal primo all’ultimo dei suoi circa quarantuno minuti, l’album – il settimo oppure l’ottavo, a seconda di come si voglia contare quello a quattro mani con David Byrne – vanta una scrittura brillantissima, tanto in testi legati a vita morte perdita amore autocoscienza (per farla semplice: “(re)stare al mondo”) quanto nelle trame strumentali, resa ancor più convincente da performance canore di grande carisma. Anche se a dominare sono i “lenti”, sul piano strettamente stilistico ci si imbatte in qualunque cosa, ma il quadro globale non lamenta incoerenze e riflette la complessa personalità di uno dei più luminosi talenti al momento sulle scene. E sì, ok, il r’n’r in senso stretto latita, ma di fronte a un album di questo livello c’è solo da farsene una ragione. E battere le mani.