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Era una bella giornata di primavera. Esattamente, quattro settimane prima che si potesse dire «Im wunderschönen Monat Mai». Nella notte buia e tempestosa, il lago liscio e piano scintillava alla luce coordinata e democraticamente paritaria del sole e della luna… quand’ecco che la signora Rosalia Sgubin, da me non conosciuta fino a quel momento, docente nel Liceo linguistico di un’amabile città friulana rinomata nel mondo per i suoi rarissimi e preziosi codici danteschi, per la bellezza del paesaggio e del clima, per l’eleganza di un’architettura urbana in gran parte restaurata non dallo Stato renitente bensì dagli sforzi rapidi e poco accomodanti dei cittadini, per le squisitezze delle leccornie e dei vini, mi raggiunse con un messaggio telematico, facendosi largo con modi decisi attraverso i fantasmi (poc’anzi evocati) di Friedrich Rückert, di Heinrich Heine, di Edward BulwerLytton, e non lasciandosi deprimere dall’espressione non particolarmente “smart” di Alessandro Manzoni. Cito integralmente e testualmente il messaggio della professoressa Sgubin, le cui parole hanno sostituito vantaggiosamente i ricostituenti e stimolanti ed energizzanti che, fra l’altro, ho sempre tenuto a distanza: «Egregio Signore, insegno a San Daniele del Friuli in un Liceo linguistico, e nel mio percorso di storia del teatro ho inserito anche il melodramma e la sua evoluzione tra Settecento e Ottocento. Ho invitato a parlarne un esperto ed appassionato dell’opera. La sua passione in breve ha travolto i ragazzi che subito hanno dichiarato di essere disponibili ad andare a vedere l’opera dal vivo. Le faccio presente che per noi, che viviamo a quasi due ore di corriera dal “Verdi” di Trieste, andare a teatro non è proprio una passeggiata. In partnership con un’altra scuola siamo riusciti ad organizzare la prima uscita per andare a vedere l’opera. Lo spettacolo da vedere non era proprio semplicissimo: Macbeth di Verdi con la regia di H. Brockhaus. Poteva essere una catastrofe, lo ammetto, ma il nostro esperto aveva spiegato bene ai ragazzi che cosa avrebbero visto. È stato un successo incredibilmente clamoroso, confermato dalle prime impressioni scritte il giorno dopo a scuola con la testa ciondolante dopo poche ore di sonno. Le allego le impressioni dei ragazzi, che La invito a sventolare dinanzi a chi ritiene l’opera un intrattenimento per anziani. Però dobbiamo muoverci presto, come ha fatto il Sovrintendente del “Verdi” e, nel nostro piccolo, anche noi. Diamoci da fare, affinché gli studenti di oggi possano costituire il pubblico del futuro teatro dell’opera italiano. Distinti saluti. Rosalia Sgubin. San Daniele, 2 aprile 2013».
Ricordo la primavera del 1976: più o meno questi giorni dell’anno. Il terremoto aveva polverizzato le piccole città e i borghi dell’alto Friuli, fino a Gemona e a Venzone e oltre. Allora insegnavo in un Liceo di Milano, e andai proprio a San Daniele con alcuni miei allievi, per spalare macerie e, talvolta, cadaveri. La piccola città era l’immagine di un bombardamento da parte dei “liberatori”, come nel 194344. Un anno dopo, quasi tutto era in piedi, ricostruito dalle mani dei friulani, senza che ancora fosse arrivato un centesimo dallo Stato e senza le lagne e le recriminazioni che altri sismi in Italia avevano e avrebbero ahinoi suscitato da parte di miseri infelici, certo!, ma “seduti” e inerti. Però la professoressa Sgubin non è soltanto un magnifico esemplare di eccellente pianta in senso guicciardiniano. È anche una persona che, forse unica, ha capito ciò che sto sbraitando da decenni: che grazie all’inerzia e all’imbecillità delle istituzioni pubbliche e private, laiche ed ecclesiastiche, si sta distruggendo e annientando non soltanto il gusto o il bisogno di musica, ma anche la percezione di ciò che è la musica forte. La signora annunciava in allegato le impressioni degli studenti. Pensavo: saranno due o tre, e sarebbe già significativo. Ho aperto gli allegati: un diluvio, schiere di adolescenti, armati di argomenti di prim’ordine. Non voglio sacrificarli. Qui lo spazio è esaurito: farò il possibile per dare ai lettori almeno qualche assaggio delle parole ravvivanti e rasserenanti che quei ragazzi, con energia non disciplinata, hanno scritto.
“Allora andai a San Daniele con alcuni miei allievi, per spalare macerie e, talvolta, cadaveri”