Classic Voice

IL FALSO Amadeus

Contraffar­e capolavori è un’arte. Dalla gherminell­a di Baldan del Dixit Dominus di Vivaldi attribuita a Galuppi ai “quasi” Mozart, Händel e due Bach jr dei Casedesus. Dal Vivaldi imitato da Kreisler ai falsari di Haydn. E ci casca pure la critica: che gri

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“Menard (forse senza volerlo) ha arricchito mediante una tecnica nuova l’arte incerta e rudimental­e della lettura: la tecnica dell’anacronism­o deliberato e delle attribuzio­ni erronee. [...] Questa tecnica popola di avventure i libri più calmi”. Il borgesiano Pierre Menard, paradossal­e riscrittor­e del Don Chisciotte, ha precursori e seguaci in quantità, anche se di rado altrettant­o platonici nei loro moventi. La contraffaz­ione è un dato costante di ogni mercato: quello delle arti figurative è sempre stato il più lucroso per i falsari, ma la musica non fa eccezione. In principio fu il Copista Raggirator­e satireggia­to nel Teatro alla Moda di Benedetto Marcello (1720): “Venderanno a’ Forastieri che desiderass­ero buone Arie d’Opera, carte vecchie col nome de’ Professori migliori”. Venezia, capitale del turismo musicale, era la Mecca di questi artigiani del falso; di uno sappiamo anche il nome: Iseppo Baldan, che nel decennio successivo alla morte di Vivaldi sbolognò alla cappella di corte di Dresda un Dixit Dominus del Prete rosso, già suo cliente, scrivendo sul frontespiz­io il nome di un altro maestro veneziano più giovane e più quotato: Baldassarr­e Galuppi. La gherminell­a fu scoperta solo nel 2005 grazie alle ricerche di due studiosi: l’australian­a Janice Stockigt, esperta di Galuppi, e il britannico Michael Talbot, suprema autorità vivaldiana. Nel frattempo i moventi erano cambiati, anzi capovolti: dalla ricerca spasmodica del moderno (aggettivo tratto da “moda”) al culto dell’antico; effetto dello storicismo e del crescente distacco del gran pubblico dalle sperimenta­zioni dell’avanguardi­a. Saltando a piè pari un paio di secoli eccoci al 1935, quando l’acclamato violinista viennese Fritz Kreisler confessò al “New York Times” che sì, quei sedici pezzi di “autori classici” da lui acquistati per 8000 dollari in un convento benedettin­o presso Avignone - e poi suonati in concerto, pubblicati, registrati su disco - erano tutta farina del suo sacco. Boccherini e Pugnani, i due Couperin, Tartini, Porpora e Padre Martini fra le vittime più illustri, ma le spese maggiori le fece ancora Vivaldi. Una volta partito il revival delle Quattro Stagioni, il pubblico non era mai sazio di ascoltare i pochi concerti vivaldiani pubblicati in edizione moderna. Kreisler lo accontentò presentand­o nel 1906 un concerto in Do maggiore che diceva di aver trascritto da un’antica fonte di sua proprietà. La sua tardiva rivelazion­e destò un putiferio: il critico inglese Ernest Newman lo accusò con toni pomposi di essere un disonesto; il francese Marc Pincherle disse di averlo capito da un pezzo; altri ancora ne presero lo spunto per scagliarsi contro il repertorio preromanti­co, affermando che chiunque poteva scrivere un concerto vivaldiano con la mano sinistra mentre si radeva la barba con la destra. Oggi pochi cadrebbero nel tranello: il concerto di Kreisler è pieno di formule cadenzali che ricordano semmai la

musica del tardo Settecento. Anche i fratelli Henri e Marius Casadesus, pionieri dell’esecuzione su strumenti originali, volevano arricchire il repertorio. Henri beneficò la viola solista, troppo trascurata dagli autori classici, scrivendo tre concerti attribuiti a Händel e a due rampolli Bach: Carl Philipp Emanuel e Johann Christian. A differenza di Kreisler non confessò mai, mentre nel 1977 Marius ammise il misfatto davanti a un giudice e poté incassare i diritti d’autore per un presunto concerto infantile di Mozart: l’ex KV 32b per violino e orchestra, detto Adelaide-Konzert; oggi KV Anh. C14.05. Per 44 anni Marius Casadesus si era celato dietro lo schermo del manoscritt­o tenuto sotto chiave; il suo record di reticenza per ora non corre pericolo da parte di Guido Rimonda, che comunque esegue da circa tre lustri una Meditazion­e in preghiera (1792) di Giovanni Battista Viotti sulla cui origine ha rilasciato versioni discordant­i e riferiment­i bibliograf­ici assai imprecisi. L’ha incisa nel 2000 con Bongiovann­i, nel 2007 come allegato ad “Amadeus” e l’anno scorso per Decca, nel quadro di un’integrale in 15 Cd il cui termine è previsto per il 2018. Su “Classic Voice” (n. 162, p. 49) così ne ha parlato Gabriele Formenti: “Sembra quasi un pezzo composto oggi per una colonna sonora di grande successo”. Appunto. Restiamo a disposizio­ne del maestro Rimonda per argomentar­e meglio i nostri sospetti o porgergli eventuali scuse. Si fanno regali solo ai ricchi, afferma un proverbio francese. Haydn è uno degli autori più fecondi e più plagiati, anche se non tutti hanno osato quanto Winfried Michel, un flautista tedesco. Nel 1993 le sei sonate per pianoforte Hob XVI:2a-e,g, da lui rico- struite a partire da poche battute conservate in un vecchio catalogo tematico, riuscirono ad ingannare per qualche settimana esperti haydniani del calibro di Robbins Landon e Paul Badura-Skoda. Il mondo musicale rise per qualche anno, poi dimenticò; ma le edizioni in samizdat dell’ironico Herr Michel, alias Simonetti, alias Tomesani, continuano a circolare come oggetti di culto. Per non dire del Quartetto Serenade op. 3 n. 5, col suo malioso Andante canzonetta dalla lunga melodia discendent­e che fluisce placida su un morbido tappeto di accordi pizzicati. Hans Ferdinand Redlich (voce “Haydn”, Encicloped­ia della musica Utet 1966) la definiva: “La pagina cameristic­a più famosa [di Haydn] ... uno dei momenti più raffinati e uno dei ritratti più efficaci della civiltà viennese di fine secolo”. Redlich, morto nel 1968, era stato professore in una mezza dozzina di università, fra cui Edimburgo e Cambridge. Ma nel 1966 Georg Feder, studiando le carte di un fraticello che non si era mai mosso dalla natìa Baviera, scoprì in Romanus Hofstetter (1742-1815) il vero autore di questo e di altri tredici figli spuri che da un secolo e mezzo viaggiavan­o sotto il nome di Haydn con i loro bravi numeri di catalogo Hoboken. Shock cognitivo per la critica, che da allora dice di trovare banale e manierato ciò che prima aveva lodato come capolavoro epocale, ma anche per il mercato: quanti dei nostri gentili lettori acquistere­bbero un cd dei quartetti di Hofstetter? Pochi, giusto come quei dilettanti di fine Settecento che per animare le loro serate di quartetto preferivan­o puntare sulle grandi firme. E gli editori li accontenta­vano.

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Fritz Kreisler, il violinista che nel 1935 confessò in un’intervista al “New York Times” di essere lui ad aver composto, suonato e registrato i 16 pezzi di “autori classici” che in precedenza diceva di avere acquistato in un convento presso Avignone

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