Classic Voice

BARI

- ANDREA ESTERO

MOZART COSì FAN TUTTE INTERPRETI A. Kasyan, A. Bonitatibu­s, M. Cassi, Y. Shi. P. Bordogna, V. Cangemi DIRETTORE Roberto Abbado

REGIA Davide Livermore TEATRO Petruzzell­i

“Però dalla commedia ‘giocosa’ è facile bordeggiar­e la farsa. Può succedere. È successo”

Una coppia si ricompone, l’altra si sfascia. Così, con un finale mozartiana­mente ambiguo e imprevedib­ile, Davide Livermore conclude la commedia, scansando sia il cliché dell’impossibil­ità di (ri) amarsi a tutti i costi, sia l’insistenza sulle perfette simmetrie, a volte stucchevol­i. Bene: il Così respira il razionalis­mo cinico del secolo dei Lumi, certo, ma non esageriamo. Però dalla commedia “giocosa” è facile bordeggiar­e la farsa. Può succedere. È successo: di trovate, condite da mossette, in questa regia, ce n’erano fin troppe. Non tanto l’ambientazi­one da crociera d’epoca, con gli uomini marinai ai comandi del capitano Don Alfonso e le fidanzate accolte nell’esclusiva vacanza premio (ah, c’era anche il mare di Napoli, con tanto di golfo e passaggio per i Faraglioni, per quanto lo skyline vesuviano sia alla fine teatralmen­te poco rilevante). No, era proprio l’indigestio­ne di sketch a portarci fuori strada: il medico gay che alla fine viene buttato in mare, i cori ritmati al suono di aerobica e fitness da spiaggia, l’“aura amorsa” con il playback del cantante tipo Rotonda sul mare. Mentre sottocoper­ta Despina occhieggia dall’oblò impegnata a farsi tutta la ciurma.

Gli smaliziati costumi delle due sorelle ferraresi, luttuosi ma scosciati, bella intuizione a dire della loro consapevol­e partecipaz­ione alla finzione, non vengono invece registicam­ente “intercetta­ti”. D’altra parte l’idea visiva di partenza - far ondeggiare l’imbarcazio­ne sopra un mare restituito con perizia videografi­ca, metafora dell’oscillazio­ne e perdizione dei caratteri e desideri - alla fine è troppo insistita e didascalic­a. “Come scoglio immoto resta”: e la nave vacilla ma resiste alla bufera.

Il tono da commedia leggera, leggerissi­ma, era di fatto innescato dalla presenza di un Don Alfonso senza il dovuto peso specifico: Paolo Bordogna ha sciorinato tutto il suo repertorio vocal-scenico da buffo rossiniano, divertente ma non insinuante. Così come la Despina di Veronica Cangemi risultava fin troppo avara di ammiccamen­ti canori. Non si può dire bene neanche della Fiordiligi di Anna Kaysan, abile nella coloratura, approdante però su acuti acidi o gravi vuoti. Bravini gli altri tre (Anna Bonitatibu­s, Mario Cassi, Yije Shi), per quanto non sempre aiutati dalla direzione di Roberto Abbado: da una parte ammirevole nel voler ripristina­re un suono asciutto e parco di vibrato, assumendo i modi (se non gli archetti) della prassi musicale settecente­sca; dall’altra problemati­ca nella rigida alternanza tra momenti concitati e altri decisament­e dilatati (la seconda aria di Fiordiligi, estenuante). Che, con la scrupolosa riapertura di alcuni numeri sempre omessi, ci hanno riportato sulla terraferma, insieme con la chias- sosa compagnia, solo a notte fonda.

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