REGGIO EMILIA
BRITTEN THE RAPE OF LUCRETIA INTERPRETI: G. Gietz, C. Zavalloni, J. Bloom, P. Smith, J. Imbrailo, J. Young, G. Sborgi, L. Catrani DIRETTORE: Jonathan Webb REGIA: Daniele Abbado TEATRO: Valli
“È bastata qualche spolveratina tecnologica alle videoproiezioni di Luca Scarzella per restituire alla regia di Daniele Abbado tutto l’impatto originario: duro, severo, rigurgitante di allusioni e infratesti come un auto sacramental di Calderón messo in scena da un allievo di Grotowski”
Fra il municipale reggiano e l’Orpheus britannicus numero due la storia d’amore dura ormai dal 1974, quando Billy Budd aprì la serie delle sei opere britteniane qui andate in scena, talora più di una volta. Non c’era dunque stretta necessità di un centenario fra i meno officiati nel resto d’Italia, e nemmeno di ri- chiami alla cronaca nerissima dell’oggi, per riproporre The Rape of Lucretia ad un pubblico tutt’altro che ignaro. Altra ricorrenza: la regia visionaria con cui Daniele Abbado inaugurò nel 2004 il suo governo della locale Fondazione gli serve oggi di commiato dalla medesima. Se la memoria non c’inganna, è bastata qualche spolveratina tecnologica alle videoproiezioni di Luca Scarzella per restituirne tutto l’impatto originario: duro, severo, rigurgitante di allusioni e infratesti come un auto sacramental di Calderón messo in scena da un allievo di Grotowski che abbia molto frequentato l’archeologia reinventata da Pasolini, i documentari di Bbc History Channel e la poetica ipersurrealista del videoclip. Barbarie maschilista sotto la tenda militare e virtuoso idillio domestico, profezie cristiane e disastri di una guerra mondiale da poco conclusa: l’insieme non è antico né moderno, semmai illustra con pertinenza gli strati di un libretto che piacque a Britten proprio per la sua capacità d’incarnare in chiave teologica - e per una volta declinata al femminile - un tema a lui molto caro: quello dell’innocenza violata che si fa martire, ossia testimone e insieme vindice, della colpa altrui. L’opulenta bellezza di Julianne Young, Lucrezia di solidi mezzi vocali e scuro colore drammatico al pari della sua nutrice Bianca (Gabriella Sborgi), creavano un opportuno contrasto con la cristallina emissione sopranile di Laura Catrani (Lucia), così da togliere alle scene di gineceo ogni sospetto di leziosità. Nella spietata lotta notturna con lo stupratore Tarquinio, e nel finale suicidio risolto con mezzi incruenti in una sorta di crocifissione su un viluppo di corde nella metà alta del palcoscenico diviso, la protagonista emanava dignitosa seduzione da vera matrona romana. Lo stesso Tarquinio (Jacques Imbrailo) gareggiava con Joshua Bloom (Collatino) in un duello fra baritono e basso che più verdiano non si può, e bene anche tutti gli altri, specie il corifeo maschile, il tenore contraltino Gordon Gietz. Oltre ogni elogio la prestazione di Jonathan Webb alla testa di una selezione dell’orchestra del Maggio fiorentino: appena dodici elementi e mai una sbavatura.