NEW YORK
CAVALLI ELIOGABALO INTERPRETI. C. Ainslie, M. Oeste, E.G. Righter, S. Biller DIRETTORE Grant Herried, Neal Goren REGIA James Marvel TEATRO Gotham Chamber Opera
“The Box è un teatrino di burlesque da meno di 200 posti; il personale presta servizio in abiti succinti e dopo l’una e mezza di notte vanno in scena esibizioni di sesso ‘non simulato’”.
Francesco Cavalli ( 1602-76) fu l’operista più popolare del Seicento. Il suo Giasone del 1649, umoristica parodia del mito di Medea - sì, quella Medea che assassinò fratello, suocero, figli e varia parentela - fu eseguito centinaia di volte nel mezzo secolo seguente. Vista la sua capacità di voltare in commedia la vicenda di una madre infanticida, non sorprende che si affezionasse anche alla storia di Eliogabalo, imperatore romano del III secolo: un ragazzaccio debo-
sciato che amava vestirsi da donna (si racconta che tentasse di autocastrarsi), manteneva un seguito di oltre 500 quadrighe piene di prostitute d’ambo i sessi, si sposò e divorziò cinque volte, chiamava “marito” uno dei suoi aurighi e nominò un Senato di sole donne, perlopiù meretrici. Dopo quattro anni di regno fu trucidato e sepolto in una latrina dai suoi stessi pretoriani. Trama indigeribile perfino nella tollerante Venezia del Seicento, specie per il modo di ritrarre il Senato. Il libretto fu riscritto depurandolo dei peggiori eccessi libertini, il protagonista non finiva ammazzato, si pentiva e continuava a regnare con saggezza. Alla prima del 1668 la musica era di Giovanni Antonio Boretti; la partitura originale di Cavalli fu riesumata solo nel 1999 a Crema, sua città natale. Anche se il librettista Aurelio Aureli sorvola sull’incerta identità sessuale dell’imperatore e si limita a presentarlo come un dongiovanni libidinoso e pazzoide, quanto ad ambiguità di genere c’è sempre nel complesso dei personaggi quanto basta a soddisfare i più audaci. La versione prodotta dalla notevole Gotham Chamber Opera di Neal Goren offre un polimorfismo sessuale tutt’altro che velato, dando vita a uno spettacolo anarchico e musicalmente gratificante. A differenza del suo maestro Monteverdi, Cavalli disponeva di piccole orchestre: appena un pugno di archi e continuo. Goren e il suo direttore musicale Grant Herried si attengono a tale canone puntando sulla chiarezza e su un gagliardo accompagnamento, per quanto ci sarebbe da obiettare sulle tiorbe amplificate. Ma quale teatro d’opera si presterebbe ad ospitare un simile allestimento? Parliamo di nudo quasi integrale, costumi sgargianti oltre l’immaginabile (brachette tempestate di cuoio, parrucche biondo-platino per quasi tutti, giacche di lamé argentato stile Wanda Osiris, disegnate da Mattie Ullrich), fruste e perversioni assortite. Sempre più le piccole compagnie si rivolgono a luoghi di spettacolo non convenzionali, e Goren ha fatto una scelta brillante. The Box, sul Lower East Side di Manhattan, è un teatrino di burlesque da meno di 200 posti; il personale presta servizio in abiti succinti e dopo l’una e mezza di notte vanno in scena esibizioni di sesso “non simulato”. L’atmosfera è da vecchio music-hall: una lunga passerella centrale è usata dagli artisti come estensione del piccolo palcoscenico così da coinvolgere gli spettatori nell’azione. Il regista James Marvel muoveva la giostra ad un ritmo talora frenetico senza nulla concedere alla noia; si sarebbe magari fatto a meno dell’ubiquo quartetto di “ballerine” sgallettanti e seminude (tre donne e un uomo), né si sentiva il bisogno di ammiccare al pubblico durante certi passi birichini. Musicalmente parlando, è nata una coppia di stelle: nella parte del protagonista il controtenore sudafricano Christopher Ainslie sfoderava suono generoso e compatto, recitando con la giusta dose di frastagliata petulanza. Superbo anche il mezzosoprano Emily Grace Righter nel ruolo en travesti di Alessandro, il cugino nobile e supponente dell’imperatore che alla fine ne eredita il trono. Nel secondo atto spiccava la sua deliziosa e calda aria-lamento su un basso figurato. Micaela Oeste (Gemmira) e Susannah Biller (Eritea), prede designate di Eliogabalo, cantavano con limpido colore e trilli veraci. E si spera di risentire presto in un repertorio meno eccentrico il baritono Brandon Cedel, qui nel ruolo buffo di Nerbulone, schiavo e ruffiano. Bene anche il resto del cast. Con la bizzarra acustica del locale, qualche frizzo scollacciato di troppo, e tagli di oltre un’ora e mezza alla partitura, non si può parlare di una serata operistica perfetta; tuttavia Neal Goren e la sua compagnia dimostrano una volta di più che il vino vecchio nell’otre nuovo può anche sapere di buono.