ZAGABRIA
BARBER A HAND OF BRIDGE HINDEMITH HIN UND ZURÜCK FOSS INTRODUCTIONS GOODBYES AND INTERPRETI Z. Martic, S. Hapac, S. Franetovic, L. Kosavic REGIA Jasna Zaric DIRETTORE Josip Sego ORCHESTRA del Teatro Nazionale Croato TEATRO Foyer del Teatro Nazionale Croato
“Lo spettacolo è una lezione di teatro e recitar cantando: lo dovrebbero prendere a modello i teatri italiani, tanto più che il cabaret è stato un momento importante pure per la nostra civiltà del palcoscenico”
O perni Cabaret (“cabaret operistico”) recita in croato il sottotitolo del minitrittico che l’Opera di Zagabria propone nel foyer del suo teatro, uno dei più monumentali dell’impero asburgico: la magnificenza della sala tardo ottocentesca non si sarebbe prestata a questi tre pannelli di teatralità cameristica, che di piccolo hanno solo la durata, lasciando aleggiare uno spessore che sottrae i quaranta minuti di spettacolo alla dimensione della mera sfiziosità. Accostando gli anni Venti della Zeitoper di Hindemith alla way
of life americana degli anni Cinquanta raccontata da Barber e Foss (grazie anche all’occhio esterno di Menotti, librettista per entrambi), la serata offre un fulminante spaccato dell’arte di riflettere sorridendo; mentre la for- mula da caffè-concerto con cui la regista Jasna Zaric impagina le operine – un bistrot con camerieri ondivaganti e consumazioni di prosecco durante lo spettacolo – ci ricorda che il cabaret è insito nel codice generico croato, com’è nel destino dei paesi che, conoscendo dittature e guerre, sanno contrabbandare denunce in chiave di risata. Il rischio era un’omogeneizzazione delle sollecitazioni offerte dai tre lavori, ma così non è stato: lo psicodramma coniugalborghese – stemperato e insieme enfatizzato dalla partita a carte – di A Hand of Bridge, la surreale palindromicità dello sketch hindemithiano – con la narrazione che si riavvolge su se stessa a mo’ di pellicola – e lo straniante rituale degli “How do you do?” nel cocktail party pennellato da Foss danno luogo a uno spettacolo variegatissimo. La lettura musicale di Josip Sego asseconda tale mobilità espressiva, sottolineando ora certe ripetizioni quasi compulsive di Barber, speculare alla nevrosi dei suoi personaggi, ora il magistero contrappuntistico di Hindemith; mentre per il vacuo e meccanizzato microcosmo della high society di Foss viene lasciato campo libero alla limpidezza raggelante dello xilofono. Dalla fitta locandina di cantanti-attori, tutti di gran classe e pari souplesse, emerge Sinisa Hapac: che, accoppiando fisicità impiegatizia e vociona di basso, plasma grottescamente i fantasmi erotici che popolano la mente del represso David nella partita a bridge di Barber. Lo spettacolo è una lezione di teatro e recitar cantando (i testi, come si conviene a una serata cabarettistica, erano nell’idioma locale e solo per l’operina di Foss, limitata a poche frasi di circostanza, si è mantenuto l’originale inglese): lo dovrebbero prendere a modello i teatri italiani, tanto più che il cabaret è stato un momento importante pure per la nostra civiltà del palcoscenico. L’Italia, comunque, non era assente nella messinscena: fosse o no un caso, il personaggio più bislacco del trittico – la vecchia e muta zia Emma, in Hindemith – leggeva il Corriere della sera.