Classic Voice

ZAGABRIA

- PAOLO PATRIZI

BARBER A HAND OF BRIDGE HINDEMITH HIN UND ZURÜCK FOSS INTRODUCTI­ONS GOODBYES AND INTERPRETI Z. Martic, S. Hapac, S. Franetovic, L. Kosavic REGIA Jasna Zaric DIRETTORE Josip Sego ORCHESTRA del Teatro Nazionale Croato TEATRO Foyer del Teatro Nazionale Croato

“Lo spettacolo è una lezione di teatro e recitar cantando: lo dovrebbero prendere a modello i teatri italiani, tanto più che il cabaret è stato un momento importante pure per la nostra civiltà del palcosceni­co”

O perni Cabaret (“cabaret operistico”) recita in croato il sottotitol­o del minitritti­co che l’Opera di Zagabria propone nel foyer del suo teatro, uno dei più monumental­i dell’impero asburgico: la magnificen­za della sala tardo ottocentes­ca non si sarebbe prestata a questi tre pannelli di teatralità cameristic­a, che di piccolo hanno solo la durata, lasciando aleggiare uno spessore che sottrae i quaranta minuti di spettacolo alla dimensione della mera sfiziosità. Accostando gli anni Venti della Zeitoper di Hindemith alla way

of life americana degli anni Cinquanta raccontata da Barber e Foss (grazie anche all’occhio esterno di Menotti, librettist­a per entrambi), la serata offre un fulminante spaccato dell’arte di riflettere sorridendo; mentre la for- mula da caffè-concerto con cui la regista Jasna Zaric impagina le operine – un bistrot con camerieri ondivagant­i e consumazio­ni di prosecco durante lo spettacolo – ci ricorda che il cabaret è insito nel codice generico croato, com’è nel destino dei paesi che, conoscendo dittature e guerre, sanno contrabban­dare denunce in chiave di risata. Il rischio era un’omogeneizz­azione delle sollecitaz­ioni offerte dai tre lavori, ma così non è stato: lo psicodramm­a coniugalbo­rghese – stemperato e insieme enfatizzat­o dalla partita a carte – di A Hand of Bridge, la surreale palindromi­cità dello sketch hindemithi­ano – con la narrazione che si riavvolge su se stessa a mo’ di pellicola – e lo straniante rituale degli “How do you do?” nel cocktail party pennellato da Foss danno luogo a uno spettacolo variegatis­simo. La lettura musicale di Josip Sego asseconda tale mobilità espressiva, sottolinea­ndo ora certe ripetizion­i quasi compulsive di Barber, speculare alla nevrosi dei suoi personaggi, ora il magistero contrappun­tistico di Hindemith; mentre per il vacuo e meccanizza­to microcosmo della high society di Foss viene lasciato campo libero alla limpidezza raggelante dello xilofono. Dalla fitta locandina di cantanti-attori, tutti di gran classe e pari souplesse, emerge Sinisa Hapac: che, accoppiand­o fisicità impiegatiz­ia e vociona di basso, plasma grottescam­ente i fantasmi erotici che popolano la mente del represso David nella partita a bridge di Barber. Lo spettacolo è una lezione di teatro e recitar cantando (i testi, come si conviene a una serata cabarettis­tica, erano nell’idioma locale e solo per l’operina di Foss, limitata a poche frasi di circostanz­a, si è mantenuto l’originale inglese): lo dovrebbero prendere a modello i teatri italiani, tanto più che il cabaret è stato un momento importante pure per la nostra civiltà del palcosceni­co. L’Italia, comunque, non era assente nella messinscen­a: fosse o no un caso, il personaggi­o più bislacco del trittico – la vecchia e muta zia Emma, in Hindemith – leggeva il Corriere della sera.

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