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Ai lettori di “Classic Voice” è chiaro come la musica sia, insieme, un oggetto che dev’essere continuamente decifrato, come si decifrano le piramidi azteche o i più elaborati strumenti elettronici o i messaggi che ci giungono dalle quasars, ma anche uno strumento atto a decifrare il mondo, lo spazio, il tempo, la mente. Senza l’uso di entrambe le funzioni, la conoscenza della musica si ferma alla superficie, e lascia deboli segni nella memoria e nell’intelligenza. Una particolare forma di connessione tra la musica e il mondo è il rapporto con l’azione politica. Il modo con cui formulo quel rapporto è risultato spesso irritante per i più, e soprattutto per chi esercita una sorta di professione politica. È giusto che la politica si ponga al servizio della cultura, delle arti, delle scienze, ma è altrettanto desiderabile che la musica, le arti, le scienze, insegnino alla politica i significati del mondo, della società, delle cose.
Necessaria premessa. Sono costretto a “mettere insieme” due fatti in apparenza estranei l’uno all’altro, irrelati, appartenenti a ordini d’idee e di cose del tutto dissimili. Per giunta, si tratta di fenomeni dal diverso ordine logico e ontologico: l’uno è davvero un “fatto”, un umile e dolorosissimo episodio di vita, i cui effetti cadono su tre o quattro individui particolarmente infelici in una fase storica ancor più infelice per l’Occidente e infelicissima per l’Italia. L’altro fenomeno è una frase detta da qualcuno per solidarietà con uno di quegli infelici, ed è una frase “infelicissima” nel senso che è un errore de facto, e una colossale sciocchezza. nell’interpretazione dei facta. Eppure, l’estraneità tra i due fenomeni è apparente. Qualche tempo fa, in una città italiana, un uomo che aveva perduto il lavoro in condizioni ancora più terribili della consueta desolazione in cui versa l’Italia, non avendo più un centesimo in tasca e volendo sfamare il suo bambino almeno per un giorno (è là che stiamo precipitando tutti, se non reagiamo con forza: ve ne siete accorti?) aveva preso dai banchi di un supermercato un po’ di formaggio e di pane, e aveva tentato di uscire senza pagare la povera merce. Colto in flagrante, era stato fermato dai vigilantes e da costoro consegnato ai carabinieri. Nell’ultima decade del maggio 2013 si è “celebrato” il processo, e un giudice ha condannato a mesi di carcere l’infelice che, essendo recidivo (il suo bambino aveva avuto fame altre volte: diciamo, tutti i giorni), li deve scontare tutti. Esistono leggi che, in caso di grave e documentata indigenza, impediscono di incarcerare il reo di un esiguo furto. Gran parte dell’opinione pubblica giudica severamente lo zelo dei vigilantes (sarebbe bastato fermare, rimproverare e se proprio si fosse voluto umiliare pubblicamente l’uomo), e il rigore del giudice appare quanto meno “strano” nel paese in cui i presidenti e gli alti funzionari di Regioni, di Comuni, dello Stato, rubano a man salva enormi somme e risorse. Fra i giusti stigmatizzatori di questo procedere secondo i soliti due pesi e le solite due misure, un ascoltatore di Radio3, intervenendo nel dialogo di “Prima pagina”, ha citato, fra i più scandalosi casi di sperpero, i concerti della domenica mattina tenuti nella Cappella Paolina del Quirinale, interpretati come lusso dei ricchi perdigiorno e prova di una presunta vita fastosa del nostro Presidente della Repubblica.
Peccato: l’intervento dell’ascoltatore era coraggioso, sfidava le solite delinquenziali reazioni di chi non sa far di meglio che “denunciare per vilipendio delle istituzioni”. Dicendo una sciocchezza madornale (i concerti nella Cappella Paolina, ideati da Michele dall’Ongaro e Stefano Catucci, sono un esempio di attività nobile e povera a costo quasi zero, visto che il pubblico la domenica paga 5 euro per visitare il Quirinale e con quell’ingresso fruisce del concerto, mentre i musicisti che eseguono non ricevono alcun onorario), non documentandosi, ciò che sarebbe un dovere alla luce dell’etica, della giustizia, della democrazia e della buona educazione, ha inflitto un altro danno, lieve ma significativo, alla musica, alla sua immagine dinanzi all’opinione pubblica, mediatica, affaristica, che nel nostro paese, quando si parla di musica, è più becera e rozza che altrove. Anche questo è un frutto marcio dell’eliminazione della musica da due categorie mentali, lavoro e cultura. Anche la scempiaggine detta da quella brava persona ricade su chi allora decise lo scempio di cui siamo spettatori.
“Un ascoltatore di Radio3 ha citato, fra i più scandalosi casi di sperpero, i concerti del Quirinale”