INCHIESTA
Doveva essere l’Università della musica. Dopo 17 anni dalla riforma, il Conservatorio torna nel “comparto scuola”
Un sistema imponente in bilico tra alfabetizzazione, produzione e ricerca. Con alcune realtà eccellenti
Neanche Wikipedia si dimostra attualmente aggiornata, parlando del conservatorio di musica come “un’istituzione di grado universitario, appartenente al comparto dell’alta formazione artistica e musicale (Afam)”, quando il corso d’istruzione musicale per eccellenza è tornato, di recente - ma non troppo - nel cosiddetto “comparto scuola” del Ministero della Pub- blica Istruzione. Questo la dice lunga su quanta chiarezza ci sia in giro sul mondo dei conservatori, non solo tra chi non li frequenta, ma anche tra quelli che in qualche modo – perché interessati alla musica o alla formazione, oppure perché docenti o studenti – se ne cura.
Di certo l’aspetto meno chiaro è proprio quello riguardante la collocazione del conservatorio nell’ambito dell’istruzio-
ne: scuola o università? Una via di mezzo, in realtà, frutto di una non completa attuazione di una riforma di 17 anni fa (con la legge 508 del 1999) quando, nel riferirsi all’articolo 33 della Costituzione (“Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”), si equiparava la formazione musicale a quella accademica, non solo a livello sostanziale ma anche formale. Negli anni si sono elaborate e applicate norme con una tale lentezza che, a oggi, la situazione oltre a essere incompleta, si mostra confusionaria. Come se non bastasse, adesso l’espunzione dal comparto dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica sembra non solo arrestare ma addirittura invertire questo processo di identificazione tra Accademie di Belle Arti e Conservatori con l’Università. “Le promesse non sono state mantenute”, spiega Paolo Troncon, Presidente della Conferenza dei Direttori di Conservatorio e docente a Vicenza. “Il problema è che a 17 anni dalla riforma si è fatto pochissimo. Dal punto di vista normativo siamo neanche alla metà dei provvedimenti previsti nel 1999; siamo in grande ritardo e nel frattempo il mondo è cambiato, quindi ciò che si doveva attuare è pure anacronistico”. Troncon ci aiuta a fare un minimo di chiarezza tra le problematiche ingarbugliate del “pianeta conservatorio”, enucleando i nodi principali sui quali il Ministero ha promesso da tempo di mettere le mani.
Se i bravi non hanno titoli…
“Il sistema di reclutamento è antico e paradossale”, inizia Troncon. “L’ultimo concorso a cattedre è del 1990! Adesso le immissioni in ruolo avvengono sulla base di titoli di servizio e non su quelli artistici; la legge prevedeva di applicare un regolamento, disatteso dal ministero, per disciplinare il reclutamento similmente all’università: un concorso per titoli… Da due anni il ministro Giannini dice che è una priorità, ma non si fa mai. Ovviamente non c’è nessuna compatibilità tra il nostro modo di selezionare i docenti e quello adottato nel resto dell’Europa, ma neanche con l’Italia stessa: i concorsi per diventare docenti universitari sono ben diversi. Questo ritardo ha causato peraltro un altissimo numero di precari. I tre quarti dei docenti attuali sono di ruolo, gli altri invece precari - circa un migliaio - e sono quelli inclusi nella graduatoria stabilita dalla legge 128 del 2013 che prevedeva una selezione attraverso una valutazione in cui a prevalere erano i titoli di servizio rispetto a quelli artistici. Con il nuovo reclutamento invece il punteggio dato dalla produzione artistica e scientifica dovrebbe essere determinante. Comunque bisognerà intanto sistemare i precari e poi procedere con il nuovo reclutamento, e i tempi così si allungheranno ancora”.
Liberi da Roma
“Serve una piena autonomia, perché la riforma ci ha dato un’autonomia dimezzata. L’organico previsto è quello di sedici anni fa, i posti per ogni conservatorio sono sempre gli stessi. Abbiamo docenti contrattualizzati, quindi dipendenti pubblici, mentre all’università il lavoro del docente è soggetto a norme diverse, e non abbiamo dirigenza amministrativa. Ci vuole quindi organico di istituto e un dirigente amministrativo”.
Vecchio è meglio?
“Il conservatorio è sempre stata una scuola atipica, ma dal punto di vista normativo totalmente scolastico. Con la riforma e l’inclusione nella dimensione universitaria la percezione non è mutata: il cambiamento non è mai stato compreso né accettato dall’università, né dal conservatorio stesso. I temi sono sempre stati discussi in chiave sindacal-corporativa, non culturale. Perché esiste una questione culturale per cui la musica è concepita come qualcosa di inferiore. E tuttavia c’è da dire che comunque siamo diversi, abbiamo necessità di una modalità di-
dattica diversa. L’equipollenza dei titoli è complicatissima. Siccome il ministero tardava a provvedere a una normativa in merito, si sono introdotti emendamenti in legge finanziaria (sic!) per stabilire che i vecchi titoli dei conservatori [i cui corsi superiori duravano per la maggior parte 2 o 3 anni] sono equipollenti a quelli universitari, organizzati secondo il modello del 3+2 fino al conseguimento della laurea magistrale. In questo momento vige la confusione più totale: il diploma di conservatorio del vecchio ordinamento è equipollente al biennio magistrale dell’Università, ma fino a pochi anni fa corrispondeva invece al triennio. Il risultato è che comunque un vecchio diploma ottenuto con un numero relativamente basso di anni di frequenza (mettiamo ‘canto’) vale come uno più impegnativo (‘composizione’), ed entrambi sono stati equiparati alla laurea, anche se conseguiti con vecchi ordinamenti che non prevedevano un’organizzazione universitaria degli studi”.
Valutazione e ricerca
“I lavori universitari sono valutati attraverso un processo qualitativo, lo fa l’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca). Nei conservatori questo sistema non è applicato, e quindi non c’è una analoga cultura del processo di qualità. Dopo 17 anni il processo di equivalenza non si è realizzato e il risultato è che l’università non ci riconosce come un suo ‘simile’. Del resto siamo esclusi dai finanziamenti della ricerca, che quando è svolta si realizza al massimo attraverso qualche convegno. Fondamentalmente non abbiamo i dottorati di ricerca. A ogni modo, la colpa è anche dei conservatori stessi, che solo di recente hanno prestato attenzione alla questione, non essendo avvezzi alle attività di ricerca universitaria.
Si potrebbe fare una nota anche sugli stipendi. Per 324 ore annue di insegnamento, un docente di conservatorio prende da 1500 euro mensili (all’inizio dell’attività) a 2000 euro (alla fine). Quello universitario arriva fino 4000 euro per un numero considerevolmente inferiore di ore. Da noi ci sono solo scatti di anzianità (tra l’altro fermi da anni), ma nessun avanzamento di carriera. Noi chiediamo un adeguamento - prima che stipendiale - giuridico, ossia un docente non contrattualizzato (cioè non regolato da un contratto nazionale collettivo del lavoro). Certo, la recente entrata nel comparto scuola va nel segno diametralmente opposto…”.
Accademie dei piccoli
“I licei musicali sono nati nel 2010 con l’idea di completare la riforma. L’iniziativa è buona ma ci sono dei difetti. Il primo è che la musica è stata relegata al solo liceo, mentre sarebbe stato meglio prevederla anche nella scuola primaria e nelle medie inferiori. Il secondo è che i licei musicali sono troppo pochi (sei a Caserta, sei a Salerno, e solo due in tutta l’Emilia). L’errore è comunque pensare che il liceo musicale possa sostituire il conservatorio, mentre la formazione artistica professionalizzante ha bisogno di un percorso unico e di uno speciale approfondimento. Così si è reso necessario individuare i corsi preaccademici, che si possono frequentare a partire dai quindici anni: una sorta di triennio propedeutico al percorso accademico del conservatorio. Si tratta di un’iscrizione ‘precoce’ al conservatorio che permette di arrivare al corso avanzato di studi già preparati, in un modo che i neonati licei musicali non possono garantire”.
Le promesse del Miur
“Insomma il sistema ha parecchie falle, che il governo promette da anni di sanare immediatamente con aggiustamenti per decreto. Il progetto del ministro Giannini attualmente ha il nome di ‘Chiamata alle arti’ e si incardina su almeno due punti: 1) il reclutamento dei docenti secondo regole universitarie e un’equiparazione del loro status attraverso meccanismi di valutazione e ricerca; 2) la razionalizzazione delle sedi. C’è stato un periodo in cui il ministro pensò di identificare tre livelli, conservatori comunali, regionali, nazionali, ma per fortuna l’idea è stata abbandonata. Si statizzeranno invece gli istituti pareggiati, che attualmente sono 19 e avremo così 77 conservatori statali. La proposta sul tavolo è di creare i politecnici (di cui parla la stessa legge 508), ovvero strutture più ampie su base regionale, così da mantenere le sedi ma abbattere la burocrazia e i costi di amministrazione. Se si creano i poli, cioè dei centri di aggregazione regionale, questi devono essere dotati di autonomia. Il ministro ha assicurato di aver trovato 40 milioni per statizzare gli istituti, ma bisogna sperare che il governo regga. Dalla riforma abbiamo avuto 8 ministri… Il tempo di capire che cos’è un conservatorio e il ministro cambia, mediamente ogni due anni”.