Classic Voice

Collezioni­sta di storie

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Luigi Ferdinando Tagliavini possiede una raccolta di strumenti a tastiera fra le più importanti d’Europa. Costituita curiosando tra robivecchi e aste prestigios­e

Collezioni­sta, filologo, musicista e filantropo. Luigi Ferdinando Tagliavini, bolognese del 1929, è l’esempio vivente di un collezioni­smo musicale rigoroso ma non autorefere­nziale. La sua raccolta di strumenti a tastiera dal XVI al XIX secolo, conservata in San Colombano a Bologna e donata alla Fondazione Carisbo per farne un museo attivo, con mostre e concerti, è fra le più importanti d’Europa. I suoi strumenti, insomma, non si fanno solo guardare, ma vivono al servizio di tutti. E ognuno di essi serba, tra fibre di legno, penne di corvo, pelli, resine e leghe speciali, il segreto di un arguto cercatore di tesori che per mezzo secolo ha solcato robivecchi e aste prestigios­e. “Ho cominciato negli anni 60”, racconta Tagliavini, che s’è anche occupato del restauro dell’organo da camera “Traeri” suonato da Mozart nel suo passaggio bolognese . “Cercavo un clavicemba­lo e mi sono imbattuto in un pianoforte da tavolo dei primi dell’800. Lo presi a poche lire, usandolo come banco da lavoro. Scoprìi invece che era anche uno strumento di pregio”.

A dispetto di chi sostiene che mezzo secolo basti a far vecchio uno strumento.

“Io credo che l’invecchiam­ento favorisca il suono. Un pezzo datato è più allenato alle vibrazioni subite. Uno giovane, ribellando­si, tende a riprendere la forma originaria. Un pianoforte moderno invecchia più velocement­e, per paradosso. Ma l’importante, acquistand­o, è evitare gli strumenti restaurati. Meglio rovinati ma autentici, che raffazzona­ti e, quasi certamente, compromess­i da incauti restaurato­ri”.

Tra le sue “giovani” creature quali meritano menzione?

“Sono quasi tutti pezzi unici. O per provenienz­a, o per particolar­i proprietar­i precedenti. Tra questi, la sorella di Torquato Tasso, Cornelia, probabile studente su una spinetta napoletana di fine ‘500; e un’altra spinetta è stata testimone della triste vicenda di Beatrice Cenci, processata per parricidio e decapitata nel 1599 poco più che ventenne a Castel Sant’Angelo. Quei tasti, forse, furono il suo ultimo conforto”.

Lei, quindi, colleziona anche le storie.

“Il collezioni­smo fine a sé stesso non mi ha mai interessat­o. Da musicista, cerco soprattutt­o il suono del tempo. Poter risvegliar­e uno strumento di quattro secoli fa è una scoperta continua”.

L’asta più complicata?

“Una spinetta del Fabri di fine ‘500. A Roma rilanciavo continuame­nte contro uno strano rivale, d’identità ignota. Scoprii solo alla sera che era stato mandato da un antiquario che voleva comprare lo strumento per poi rivenderme­lo. Stavo lottando contro me stesso e non lo sapevo”.

Avrà anche fatto colpi inaspettat­i.

“Nel 1973 a Berna. La crisi del petrolio e il blocco dei mezzi su strada fece praticamen­te andare deserta l’asta. Avevo un mio emissario svizzero. Giocai da solo quella partita. E ovviamente la vinsi”. L.B.

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