Classic Voice

RECENSIONI CD & DVD

- ELVIO GIUDICI

A. Netrebko, Y.

INTERPRETI

Eyvazov, A. Pina, C. Chausson, B. Bernheim, S. Voros

Marco Armiliato

DIRETTORE

della Radio di Monaco

ORCHESTRA

2CD Dg 4796828

29,80

PREZZO

★★★★

Fin dal suo debutto romano con Riccardo Muti nel 2014, la Netrebko s’è imposta quale Manon di riferiment­o dei nostri giorni, quasi a pari merito con la sua sensaziona­le Lady Macbeth. La bellezza della voce. L’ampiezza d’una linea che la perfetta tecnica d’appoggio e proiezione del fiato rende morbida, fluida, omogenea a ogni altezza e lungo ciascuno degli scabrosiss­imi passaggi richiesti da una scrittura vocale di quasi sadica difficoltà (basterebbe solo sentire come attacca, smorza e infine rinforza il do del Minuetto). La scolpitura della dizione (come “cantano”, con lei, le consonanti!), che viene assunta quale punto di partenza affinché il controllo tecnico dell’emissione e la musicalità di livello strumental­e possano consentire, attraverso il pulsare continuo della dinamica, una capillare ricerca del colore e dell’inflession­e: uno sbalorditi­vo, eppure mai calligrafi­co, gioco d’accenti che impartisce a ciascuna parola facendone minuto tassello per l’espressivi­tà da far assumere all’intera frase (e sempre individuan­do quella cui far assumere il valore di climax espressivo della situazione), differenzi­ando ciascuna di essa nell’arco di quel canto di conversazi­one che forma la ragion d’essere della teatralità pucciniana. Tutto, insomma, è splendido da sentire perché fluisce facile, luminoso, intenso, personalis­simo, con quell’apparente spontaneit­à (quanto apparente, con tale infernale scrittura!) senza la quale la gioventù di Manon, ovvero il tratto suo più distintivo e indispensa­bile, resta inafferrab­ile: ragione prima di tanti fallimenti in bocca a cantanti anche incensatis­sime. C’è una sola pecca, in questa portentosa Manon: è solo audio, privandoci così di quel formidabil­e carisma scenico di cui Anna Netrebko dà prova costante a ogni sua apparizion­e in teatro.

Fu proprio a Roma, che – causa la rinuncia d’un altro tenore – avvenne l’incontro con Yusif Eyvazov, l’attuale marito che sempre più spesso le fa da partner. Il quale possiede senza dubbio materiale vocale affatto comune per quanto attiene a volume, ampiezza e robustezza: da cui un finale terzo, notoria bestia nerissima d’ogni Des Grieux (e fonte di rinunce al ruolo da parte di tenori ultrablaso­nati), in cui si sentono scaraventa­re la e si naturali con una facilità a ritrovar la quale bisogna risalire indietro, e di parecchio, nella memoria e nella discografi­a (ancor più notevoli, poi, oltre che d’effetto strepitoso, col tempo indugianti­ssimo staccato da Armiliato); cosa che puntualmen­te si ripete nell’ultimo atto, dove è probabile che l’essere la registrazi­one dal vivo sia la ragione per cui a me pare riesca significat­ivamente meglio rispetto alla pur notevole incisione con Pappano. A fronte, un prim’atto proprio brutto. Ma non credo sia per la nota difficoltà delle voci estese e spesse a modulare: è un’emissione strana, questa di Eyvazov, legata in parte anche al modo di articolare le vocali, tutte pronunciat­e sistematic­amente aperte (le “e” in modo particolar­issimo) così da comunicare una sensazione di suono sbracato che in realtà lo è solo fino a un certo punto. In più, il modulo espressivo tende a essere alquanto monotono nella sua declamazio­nite spinta: funziona, è chiaro, nei momenti più parossisti­ci; regge in quelli più accesi; toppa di brutto nei ripiegamen­ti melanconic­i. Ragguardev­ole il cast di contorno, con menzione speciale per il Geronte di Carlos Chausson, che per una volta s’esprime col canto anziché col cachinno. Marco Armiliato si conferma direttore di notevoliss­imo livello: non si limita ad accompagna­re assai bene, ma tempi e dinamiche sanno creare atmosfere ricche di colori e chiaroscur­i, serrate in un arco di tensione che non conosce cedimenti. Perché non lo si trovi regolarmen­te sui podi nostrani, Armiliato, per me è uno dei tanti assurdi misteri italici.

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