ANNIVERSARI
A 150 anni dalla nascita del grande direttore, siamo entrati in anteprima nel nuovo Fondo toscaniniano dell’Archivio di Stato di Milano: il secondo al mondo dopo quello di New York. E tra spartiti e partiture emergono testimonianze inedite sull’attenzione
Abbiamo visitato in anteprima il nuovo Fondo toscaniniano dell’Archivio di Stato di Milano, il secondo al mondo Con testimonianze inedite sull’attenzione posta alla dimensione “registica”. Nel segno della sperimentazione
Centotrentadue pezzi di musica scritta tra cui preziosi autografi, composizioni giovanili, rare prime edizioni, spartiti annotati; 1043 lettere, telegrammi e documenti personali; 673 fotografie relative alla vita privata o alle apparizioni in pubblico: sono questi i numeri del Fondo Toscanini che da qualche mese è consultabile presso l’archivio di Stato di Milano. Un autentico tesoro per gli studiosi. Ci si lamenta spesso che il nostro Stato è sordo ai valori della cultura, è accaduto anche di recente a proposito dell’Archivio di Claudio Abbado emigrato a Berlino. Bene, va segnalato che nel caso di Toscanini non è stato così. Il Ministero dei Beni Culturali non solo ha evitato che preziosi documenti della vita del Maestro lasciassero il nostro Paese, ma è anche riuscito a portare in Italia materiale che era conservato negli Stati Uniti.
Un po’ di storia per spiegare. Toscanini ha vissuto a New York dal 1938, quando ha lasciato l’Italia, fino alla morte nel 1957. La parte più importante del suo archivio (le partiture da lui utilizzate, ma anche corrispondenza, cataloghi, libri, nastri registrati ecc.) è stata donata nel 1987 dalla famiglia alla New York Public Library. Nel 2012, gli ultimi due rami della discendenza (la nipote Emanuela Castelbarco in Italia e i figli dell’altro nipote Walfredo a New York) hanno messo all’asta a Milano e a Londra quello che era rimasto nelle loro collezioni: manoscritti, partiture, documenti, lettere, fotografie e oggetti significativi. Del lotto milanese faceva parte anche il frac acquistato da Riccardo Muti che lo ha donato, insieme con altri memorabilia toscaniniani, al Conservatorio di Milano. A Londra sono stati battuti i pezzi più importanti, tra cui autografi di Beethoven, Brahms, Verdi. La partitura manoscritta dell’ouverture de La favola della bella Melusina di Mendelssohn, che era stata regalata a Toscanini dal pianista Rudolf Serkin, è stata aggiudicata per 433.250 sterline, oltre mezzo milione di euro. Il Ministero ha puntato sulla parte più interessante e consistente della collezione italiana, esercitando il diritto di prelazione all’asta milanese per 140.000 euro, e da Londra ha portato a casa i manoscritti autografi delle composizioni giovanili di Toscanini, pagando 43.250 sterline (circa 53.000 euro). Si può ben dire che ora l’archivio toscaniniano di Milano è il più consistente e importante dopo quello di New York, mentre la casa natale di Parma ha più le caratteristiche di un’esposizione museale.
Le partiture autografe verdiane
Fra i manoscritti del Fondo spicca la partitura della sinfonia di Aida scritta di pugno di Toscanini, così come le parti orchestrali. Curiosa la storia di questo autografo. Verdi compose la sinfonia per la prima milanese dell’opera, nel 1872; poi, dopo una prova a porte chiuse con l’orchestra, decise di ritirarla e il manoscritto tornò a Sant’Agata. Nel 1913, la nipote ed erede di Verdi affidò il manoscritto a Toscanini perché lo esaminasse. “Se Verdi non volle che fosse eseguita, non mi sembra il caso di andare contro la sua volontà - disse allora Toscanini al ‘Corriere della sera’ -, a meno che non si tratti di musica da cui il genio del Maestro si sprigioni in nuovi bagliori”. Sta di fatto che ventisette anni dopo, il 30 marzo 1940, Toscanini diresse la prima esecuzione pubblica di questa sinfonia a New York con l’Orchestra della Nbc. L’annuncio dell’esecuzione indispettì Mussolini che s’infuriò con gli eredi di Verdi. Questi telegrafarono a Toscanini per chiedergli inutilmente di rinunciare: per placare l’ira mussoliniana, la sinfonia fu eseguita pochi mesi dopo anche a Roma con la direzione di Bernardino Molinari. Poi il manoscritto verdiano tornò a riposare a Sant’Agata. Nel 1977, Claudio Abbado ha inciso questa sinfonia utilizzando una partitura ricostruita da Pietro Spada ascoltando la registrazione toscaniniana.
Il Pelléas con le correzioni di Debussy
Un altro pezzo importante del Fondo è lo spartito per canto e pianoforte di Pelléas et Mélisande, l’opera di Debussy che Toscanini presentò in prima esecuzione italiana alla Scala nel 1908. Sul controfrontespizio, c’è una scritta con penna rossa di pugno di Toscanini che dice: “Coi cambiamenti fatti alla parte di Pelléas da Debussy stesso. Milano 1908”. Ruolo di cosiddetta vocalità anfibia, il personaggio di Pelléas è stato interpretato sia da baritoni che da tenori. Il primo interprete fu Jean Périer, un cosiddetto “baritonoMartin” (da Jean Martin, vissuto tra Sette e Ottocento, una voce indefinita tra il baritono chiaro e acuto e il tenore grave), ma a Milano il protagonista era Fiorello Giraud, tenore duttile che con Toscanini era stato il primo Canio nei Pagliacci e varie volte Fenton nel Falstaff. Debussy, evidentemente, volle adattare la parte a una voce più acuta rispetto a quella del primo interprete. Le correzioni con penna rossa sono molto chiare e a volte riguardano non soltanto le note ma anche i versi. È curioso che alcune di queste modifiche apportate dall’autore siano state poi probabilmente ignorate da Toscanini. Su alcune battute, nello spazio bianco tra un rigo e l’altro, sopra le correzioni a penna rossa è scritto a matita nera, con la grafia toscaniniana “(note nere)”, tra parentesi. Come se in quei casi il direttore avesse voluto ripristinare la scrittura vocale originaria al posto delle correzioni. Del resto, Debussy aveva la massima fiducia in Toscanini e, non potendo assistere alle prove, gli scrisse: “Commetto nelle vostre mani le sorti di Pelléas, sicuro come sono di non poterne desiderare di più leali e di più valorose”.
Le annotazioni da regista per il Tristano
In alto Carnegie Hall 1936. Sopra da sinistra Toscanini annota: “Coi cambiamenti fatti alla parte di Pelléas da Debussy stesso”. In mezzo correzioni di Toscanini ai versi e alla parte di Erode in Salome; Nel Tristano Toscanini annota come devono recitare i cantanti
Toscanini aveva idee molto chiare su come un’opera doveva essere realizzata e lo spiega molto bene nell’intervista al “New York Times Magazine” che pubblichiamo accanto. Musica e scena devono integrarsi perfettamente e il direttore d’orchestra è responsabile non solo dell’esecuzione ma anche di ciò che avviene sulla scena. La prima testimonianza a questo proposito risale al 1896, durante la preparazione di un Falstaff a Torino: alla prima prova d’assieme, Toscanini fermò improvvisamente l’orchestra e saltò sul palcoscenico per controllare da vicino le scarpe dei coristi; dopodiché, disse al direttore di scena che tutte le calzature erano da cambiare e gli spiegò come avrebbero dovuto essere. Un intervento talmente insolito che il giorno dopo in città gli increduli torinesi non parlarono d’altro. Nel Fondo milanese ci sono alcune significative testimonianze, come le annotazioni su uno spartito per canto e pianoforte di Tristano e Isotta (in italiano) pubblicato nel 1890 e quindi presumibilmente utilizzato nel 1897 a Torino. Nel primo atto dell’opera, dopo che Isotta strappa la coppa a Tristano e beve il filtro d’amore, ci sono diverse battute (circa tre minuti) di sola musica: nella partitura e nel libretto una lunga didascalia spiega tutto quello che avviene. Toscanini riscrive le didascalie entrando nel dettaglio battuta per battuta. Prima “si guardano supremamente commossi e agitati però fermi e immobili”, quindi “nei loro occhi il desiderio di morte cede e si tramuta nell’espressione del più ardente amore”, poi sul crescendo orchestrale in 3/4 “sono invasi da un
tremito”, e nel successivo tempo lento in 6/8 “portano la mano alla fronte e si cercano collo sguardo”, e così via. È come se Toscanini volesse fissare la recitazione dei due protagonisti in ogni momento di quei lunghi minuti di sola musica. Un direttore che è anche regista.
Autoritario ma non era un conservatore
Il Fondo milanese offre allo studioso altre conferme di questo interesse totale di Toscanini per la messa in scena, che è un altro aspetto della sua battaglia per dare dignità artistica al teatro. L’attenzione per i movimenti dei cantanti sulla scena si ritrova anche in uno spartito di Ariane et Barbe-Bleu di Paul Dukas, con indicazioni a matita sulle battute musicali in cui (sono solo due esempi) “Ariane guarda dentro il sotterraneo” o “Bellangére corre sulla galleria”. Significative sono anche le modifiche alle traduzioni italiane dei libretti per adeguarle meglio al fraseggio o semplicemente per rendere il testo più chiaro e comprensibile all’ascolto. Lo spartito in francese e italiano della Salomé di Richard Strauss, che Toscanini diresse nel 1906 a Milano, ne è una testimonianza importante, pieno Toscanini ha presentato in prima esecuzione assoluta 24 opere liriche e altrettanti pezzi sinfonici. La prima opera è stata Pagliacci di Leoncavallo, il 21 maggio 1892 al Teatro Dal Verme di Milano. Toscanini aveva 25 anni. Nello stesso anno tenne a battesimo anche Cristoforo Colombo di Franchetti (ma le prime tre recite furono dirette da Luigi Mancinelli) e Gualtiero Swarten del dimenticato Andrea Gnaga. In totale, si diceva, 24 opere di 17 autori diversi, tutti italiani, fra i quali spicca naturalmente Giacomo Puccini con tre titoli: La Bohème, La fanciulla del West e Turandot. L’ultima prima assoluta in teatro è del 1929: Il re di Umberto Giordano. Più ampio lo spettro temporale per le prime concertistiche: dalla Sinfonia del bosco di Giacomo Orefice, presentata il 20 ottobre 1898 a Torino, al 25 novembre 1945, quando il 78enne Toscanini diresse addirittura tre prime assolute nello stesso concerto con l’Orchestra della Nbc: Overture to a Fairy Tale di Mario Castelnuovo-Tedesco, Sinfonia Tripartita di Vittorio Rieti e Western Suite di Elie Siegmeister. Anche in questo caso gli autori sono quasi tutti italiani, ma va segnalata l’eccezione Samuel Barber con l’Adagio per archi e Essay per orchestra. Interessante citare qui di seguito almeno alcune delle numerose prime italiane dirette da Toscanini: Ouverture tragica di Brahms (Torino 1896); Tre pezzi sacri di Verdi (Torino 1898); Evgenij Onegin di Ciaikovski (Milano 1900); La dannazione di Faust di Berlioz (Milano 1902); Euryanthe di von Weber (Milano 1902); Louise di Charpentier (Milano 1908); Pelléas et Mélisande di Debussy (Milano 1908); Le martyre de Saint-Sébastien di Debussy (Milano 1926); Un americano a Parigi di Gershwin (Milano 1946)