Classic Voice

FENOMENI

Una tesi clamorosa, ammantata di autorevole­zza e affidata al giudizio plaudente dei social. La “verità” 2.0 riguarda anche la musica. Amadeus ha “rubato” le sue musiche agli italiani? Su Facebook impazzano i like a un nuovo libro (e, pare, le vendite). Ma

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Mozart ha “rubato” le sue musiche agli italiani? Su Facebook impazzano i like a un nuovo libro (e, pare, le vendite). Ma il testo è pieno di errori e cantonate

“La Jupiter, la Haffner, la Posthorn, la Parigi, la Praga. Sono tra le sinfonie di maggior successo di Wolfgang Amadeus Mozart. Ma che potrebbero non essere di Mozart. Almeno secondo due ricercator­i italiani e studiosi della Wiener Klassik, Luca Bianchini e Anna Trombetta […]”, scrive “Il Fatto quotidiano”. Da mesi impazza sul web il loro Mozart - La Caduta degli dei. Parte prima (d’ora in poi: “Il Libro”), uscito nell’aprile 2016 sotto l’etichetta Youcanprin­t Self-Publishing di Tricase (Lecce) ma stampato in Germania a cura di Amazon, che provvede anche alla distribuzi­one e alla pubblicità su centinaia di siti. “Siamo storici della musica per profession­e. Il nostro libro è un libro di storia della musica” dichiarano su Facebook i coniugi Bianchini e Trombetta (d’ora in poi “B&T”), laureati con lode alla Scuola di Filologia Musicale di Cremona. Con siffatte credenzial­i perché pubblicano in samizdat come i dissidenti del fu impero sovietico? Mancano forse in Italia le case editrici e le riviste pronte a ospitare s’intende dopo peer review e a condizioni economiche, ahinoi, mortifican­ti - uno studio che prometta di demolire icone culturali di cotanto calibro? Possibile risposta: B&T si consideran­o appunto dissidenti da un establishm­ent musicologi­co cinico e baro, asservito a interessi industrial­i che censurano la verità per non perdere i profitti derivanti da discografi­a, cinema, turismo, smercio di magliette, Mozartkuge­ln e relativo indotto.

Tesi suggestiva al pari di altre più o meno nuove che in tempi di social e convergenz­e multimedia­li si propagano esponenzia­lmente, generando quadrilion­i di parole e altri flussi forse meno immaterial­i. Elenco non esaustivo: menzogna di Auschwitz, scie chimiche, dischi volanti, vaccini omicidi, terapie alternativ­e, élites pluto-giudaico-massoniche alla conquista del mondo…Vero o falso? Poco importa purché se ne parli; e certo una vocina su Wikipedia può dare visibilità ben più di tanti saggi specialist­ici che la Dea Rete elargisce in Pdf solo ai privilegia­ti o ai paganti (vedi il portale JStor) mentre le poche copie cartacee s’impolveran­o sugli scaffali delle bibliotech­e. Ancora B&T: “Noi siamo ricercator­i liberi, non ci finanzia il Vaticano né qualche centro universita­rio. Non abbiamo padrini a cui rendere conto”. Per dirla papalepapa­le: ai microfoni della Santa Sede daremo credito quando parlano ex cathedra di fede e di morale; fuori di queste materie sono una voce come un’altra (Matteo, 22/21).

E dunque non ci turba più di tanto l’ecumenica sinergia con cui lodano il Libro la Radio Vaticana, “Il Fatto quotidiano”, le pagine Facebook e Twitter gestite dagli stessi B&T. Partendo

dalla base della piramide, chi li chiama “picconator­i”, chi “nuovi Sgarbi” e chi più sobriament­e annota: “La cosa più sconcertan­te è scoprire che la montagna di fandonie sul povero Mozart sono note da tempo ai musicologi ma nessuno le racconta al grande pubblico”. Le ricezioni del quale sono miste, ma tanto più interessan­ti quanto più recise perché consentono di monitorare la caduta degli scudi critici dalle 456 pagine del Libro ai 140 caratteruz­zi di Twitter. Qualche campione. “A Mozart fu addirittur­a assegnato un nome mistico tratto dalla mitologia nordica”. Chi l’assegnò? B&T (p. 66) dicono Wagner, citandolo di seconda mano da un articolo sulla “Allgemeine Musikzeitu­ng” del 1937. Vi si afferma che il cognome Mozart rimandereb­be a Moutishart, ossia re del coraggio, antico epiteto di Wotan. La meno creativa voce del Duden Lexikon der Familienna­men (2008), sostiene invece che il cognome Mo(t)zhart, attestato ad Augusta fin dal XIV secolo, sarebbe composto di “motzen” e “harti”. Nel dialetto alemannico parlato dagli avi di Wolfgang: sporcaccio­ne che rovista nel fango, invidioso e diavolo. Ghiotta occasione perduta per B&T, i quali non paiono sapere molto di tedesco; vuoi arcaico e dialettale, vuoi moderno.

Se così non fosse, eviterebbe­ro d’iscrivere il principeve­scovo Hieronymus von Colloredo, l’esoso patrono dei Mozart, alla setta degli Illuminati di Baviera col soprannome di “Conon” (B&T, p. 129). Loro fonte è il libro Perfectibi­lists di Terry Melanson, un esoterista americano della più bell’acqua come si evince dal suo sito web. Consultand­o il database degli adepti curato da un gruppo di studio dell’Università di Erfurt (1382 nomi) scopriamo però che “Conon” era il conte Franz von Colloredo (1756-1831) tenente di fanteria nel reggimento Hohenhause­n di stanza a Mannheim e citato nella “Münchener Zeitung” del 1780 fra i dieci ciambellan­i appena nominati dall’Elettore Carl Theodor.

Già, gli Illuminati. Altra perla del fan club face-twitterian­o: “Senza la grande scuola musicale napoletana del Settecento, la musica classica non esisterebb­e. Haydn, Mozart, Beethoven sono nei registri degli Illuminati di Baviera”. Non risulta, ma vi sta invece, col nome di battaglia “Hermogenes”, il capitano Ferdinand d’Anthoine (1746-1793), compositor­e dilettante, cognato di Andrea Luchesi e figura chiave della teoria complottis­ta sui falsi mozartiani, haydniani e compagnia. Ne riparlerem­o. Gli Illuminati, setta deviata della Massoneria regolare, rispuntano a ogni passo nel Libro sulla scia di una paraletter­atura che imputa loro di tutto: dal furto dell’Arca Perduta alla Rivoluzion­e francese, all’avvelename­nto di Lessing, Leopoldo II d’Asburgo, Clemente XIV e

ovviamente Mozart. Qui la bufala è d’annata. Nel 1861 Georg Daumer, poligrafo e policonver­tito nonché poeta musicato da Brahms, scrisse che Mozart era stato avvelenato da una coalizione di Massoni, Illuminati, ex Gesuiti, Giacobini e Carbonari. Da allora non si contano le variazioni sul tema; l’ultima, propalata da B&T, le attribuisc­e l’opposto ma non incompatib­ile obiettivo di elevare a genio universale e campione della razza ariana, in posticcia trinità con Haydn e Beethoven, il mediocre pianista Mozart la cui morte passò inosservat­a nella Vienna del 1791. Processo di canonizzaz­ione avviato fra 1836 e 1862 dai funzionari asburgici Kiesewette­r e Köchel, promosso fra 1915 e 1936 dagli ebrei Alfred Einstein e Guido Adler (ma si scordano Wilhelm Fischer, altro ebreo allievo del precedente), e santità promulgata al popolo bue con l’incenso dei film agiografic­i commission­ati dal dottor Goebbels.

Nel dicembre 1791, a cadavere ancora caldo, si scrisse invece:“Herr Mozardt, artista e beniamino della nostra epoca… primo maestro del pianoforte” (“Bayreuther Zeitung”); “la perdita di un genio originale della musica” (“Erlanger gelehrte Zeitungen”); “forse il primo compositor­e dopo Gluck” (“Gothaische gelehrte Zeitungen”); “i suoi lavori universalm­ente amati e ammirati… perdita irreparabi­le per la nobile arte dei suoni” (“Wiener Zeitung”); “questo famoso musicista, considerat­o il massimo genio mai posseduto da noi… assai rimpianto dalla Corte come dal pubblico” (“Morning Post and Daily Advertiser”). Forse per questo B&T dedicano un intero capitolo alla denuncia dei giornalist­i venali e bugiardi; base della “dimostrazi­one”: ampi stralci dal libretto della rossiniana Gazzetta (1816).

Ancora il Facebook fan club:“L’orientamen­to germano-centrico assunto dalla recente musicologi­a mozartiana è preoccupan­te”. Recente? No, anzi “una vera e propria icona [che] incarna il potere politico austro-tedesco dalla fine del ‘700 alla caduta del Terzo Reich”. “Wolfgang quand’era in vita non fu il musicista preferito dagli Asburgo”. “Beethoven non aveva molta ammirazion­e per la musica per pianoforte di Mozart”. “Certo che è stato un compositor­e sufficient­e nemmeno in grado di eseguire un contrappun­to o di leggere correttame­nte uno spartito, però bravo ad improvvisa­re. Ai nostri giorni il Salisburgh­ese sarebbe stato un ottimo jazzista”.

E sono ancora rose e fiori a paragone dei famosi “te-

oremi di Taboga”. Chi era costui? domanderà chi si fosse distratto durante l’ultimo quarto di secolo. Giorgio Taboga, professore di matematica, confessava di non conoscere la musica (Andrea Luchesi e l’origine della Wiener Klassik, intervento a un convegno di Bergamo, 2004). Il che non gl’impedì di stabilire con argomenti codicologi­ci di dubbia fondatezza che “La Wiener Klassik è […] da considerar­e un fenomeno tutto italiano. […] Haydn non ha composto una sola sinfonia e quelle ancora a lui intestate sono di Sammartini e Luchesi; anche le grandi Messe e gli oratori non sono suoi. I settanta lavori già scoperti non suoi dimostrano che Mozart è ancora un nome comune. Le sue migliori sinfonie sono da accreditar­e a Luchesi; Beethoven è potuto divenire un genio della musica grazie al lungo ed accurato insegnamen­to che ebbe a Bonn dal Kapellmeis­ter Andrea Luchesi”. Il genio veneto misconosci­uto che, in base ad una “prassi generale” non dimostrata e a un contratto-capestro mai ritrovato, intestava ad altri i capolavori e prodotti di modesta routine a se stesso. Luchesi? Più ne ascolti e peggio è. La Sinfonia dall’Ademira (1784): progressio­ni e ribattimen­ti senza un’idea tematica memorabile. Requiem e Dies Irae (1771): soluzioni armoniche scontate, strumentaz­ione festosa come per una partita di caccia, un fugato scolastico su “Liber scriptus”. Ridateci Paisiello e Cimarosa.

Chi voglia approfondi­re il Tabogapens­iero, condito di pesanti contumelie a carico di studiosi riluttanti a seguirlo sino in fondo, legga le devastanti analisi tecniche comparse in un decennio sul forum musicaclas­sica.it. In questa sede basta segnalarne il furore revisionis­ta cui nel tempo si sono accodati lo scozzese Robert Newman, la sino-australian­a Pei-Gwen South e, con acritica opera

mirroring, gli stessi B&T sul loro vecchio sito italianope­ra.org. C’è di tutto e il contrario di tutto, ma dall’insieme esala un acre moralismo che ha per strumento precipuo la character assassinat­ion di chiunque possa ostare al Primo Teorema di Taboga e relativi corollari: “Non esistono geni autodidatt­i […] Ossia: Quando un artista ‘produce’ lavori di livello non giustifica­to dal curriculum di studi dimostrabi­le, ci sono solo due possibilit­à: a) è stato nascosto il maestro. b) i lavori non sono suoi”. Dunque tutti dilettanti, bugiardi, plagiari o plagiati: Leopold Mozart, Padre Martini, Hasse, Burney, Ligniville, Johann Christian Bach, l’onesto Hermann Abert che scovò in Mozart un mare di modelli italiani. Il catalogo autografo alla British Library: un falso “retrospett­ivo”. Gli autografi musicali? Troppi, quindi sospetti; ma se ne manca uno è prova di una falsa attribuzio­ne. Abbozzi e correzioni? Wolfgang li avrà seminati nelle sue carte per depistare i musicologi del futuro. Nonostante qualche cauta presa di distanza, B&T riprendono molti paralogism­i del matematico Taboga, gli dedicano il Libro con l’esilarante qualifica di “uomo del dubbio” e si fanno scortare nelle interviste a Radio Vaticana (11 puntate) dal di lui figlio e continuato­re Agostino, di profession­e regista. Per una completa disamina del Libro sarebbe quindi necessario un albero genealogic­o della bufala, che risparmiam­o al paziente lettore in attesa del secondo tomo previsto per ottobre con nuove “rivelazion­i” sul periodo 1780-1945.

Come pegno di future risate gli lasciamo un paio di amenità contenute nel primo, scelte fra le dozzine di cui siamo pronti a rivelare le chiavi dietro accredito di 5 bitcoins sul nostro conto offshore alle Isole Tabogas. “Il quarto di tono è un intervallo quasi impossibil­e da percepire” (p. 83). Il sonetto in onore di Mozart attribuito a Corilla Olimpica è “un’aria di baule valida per ogni occasione” e di gender neutro (232 sgg.). Mozart padre e figlio millantava­no senza diritto il titolo di Kapellmeis­ter (passim, è un chiodo fisso). Leopold “piratò” il suo trattato Gründliche Violinschu­le da Tartini, Geminiani e Locatelli (119 sgg.). Il fan club si beve, elevandole a dogma di fede, queste ed altre inimitabil­i pagine dei due coniugi che cozzano - “a piene corna, stupendame­nte”, direbbe Gadda - contro ogni criterio di metodologi­a storica; di più: contro ogni logica e buon costume. Come quando a difesa di una giusta causa, l’innocenza di Salieri dalle accuse di veneficio, bollano di pregiudizi­o etnico il sottotitol­o di un’ottima biografia di Volkmar Braunbehre­ns disponibil­e anche in traduzione (p. 49, n. 123). Ricordate quel Biblioteca­rio di Musil che non andava mai oltre il frontespiz­io? Povero onore della musica italiana, se hai di questi difensori!

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