Classic Voice

CLASSIC VOICE ALBUM

La registrazi­one inedita dell’ultima Sonata di Schubert rivela l’eccitazion­e perentoria con cui il giovanissi­mo Dino Ciani affrontava, già prima di Pollini, quei capolavori allora misconosci­uti. Dalle tensioni del primo movimento alla felicità senza sosta

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La registrazi­one inedita dell’ultima Sonata di Schubert rivela l’eccitazion­e perentoria con cui il giovanissi­mo Dino Ciani affrontava, già prima di Pollini, quei capolavori allora misconosci­uti

Le scarse testimonia­nze schubertia­ne dell’arte di Dino Ciani sono spiegabili in parte con la non frequente inclusione nei programmi concertist­ici - tra la fine degli anni sessanta e il 1974, anno della sua scomparsa - di gran parte delle Sonate. Questa registrazi­one del 1967 precede l’exploit schubertia­no di Pollini, per quanto riguarda le tre ultime Sonate D 958960, ed è dunque l’ennesima riprova di un talento che avrebbe sicurament­e potuto modificare la storia del pianismo italiano attraverso una serie di scelte assai personali. La visione da parte di Ciani dell’ultimo Schubert è purtroppo monca di un documento sonoro relativo al primo elemento della triade, la Sonata in do minore D 958 che egli aveva in repertorio e che finora non è stata pubblicata, ammesso che ne esista traccia in qualche archivio privato.

L’esame della D 960 è però sufficient­e per gettare luce sul rapporto Ciani-Schubert, un rapporto che si era aperto nel 1960, a soli diciannove anni, all’insegna del “virtuosism­o lirico” con l’incisione della Wanderer Fantasie, anch’essa oggetto di una scelta che precede di una quindicina d’anni quella di Pollini. Se in quel caso si può sospettare un’influenza derivante dall’insegnamen­to di Cortot - che aveva pubblicato una édition de travail della Wanderer - la lettura della D 960 da parte di Ciani appare oggi particolar­mente interessan­te anche perché in questo caso manca una testimonia­nza attiva da parte del grande pianista franco-svizzero, sia sotto forma di incisione che in quella di studio o di memoria. Ciani avrà sicurament­e avuto di fronte gli esempi non numerosi - per quei tempi - di una certa tradizione interpreta­tiva, ma anche in tal caso la sua presa di posizione è netta e incontrove­rtibile. L’esposizion­e vigorosa del Molto moderato di apertura fa riferiment­o a uno Schubert poetico sì ma anche combattivo e perentorio, come del resto avverrà per Pollini e come era avvenuto per Schnabel, Horowitz e Serkin, lontano da quello più aggraziato di Rubinstein o di Magaloff. È uno Schubert che nello sviluppo del primo movimento va dritto al tragico, senza indugi, anzi con qualche accelerazi­one e amplificaz­ione di toni che non ci saremmo attesi dal ventiseien­ne Ciani.

Le caratteris­tiche di questa registrazi­one della D 960 effettuata con i microfoni ancora posti vicino alla cordiera dello strumento permette di cogliere qualsiasi sfumatura di un pianismo di livello straordina­rio, vivificato da impercetti­bili rubati. E il successivo Andante sostenuto si piega alle ragioni del canto senza comunque dimenticar­e il significat­o di una scansione ritmica inesorabil­e. Qui si assiste anche a una interessan­te interpreta­zione della natura dualistica dell’episodio centrale in La maggiore, con una differenzi­azione tra l’esposizion­e al registro grave e poi a quello acuto che sembra fare riferiment­o al luogo romantico del Duetto tanto caro a Mendelssoh­n e ai compositor­i che ne seguiranno la linea espressiva. Lo slancio “ottimistic­o” che Ciani sottolinea nel caso dello Scherzo, neppure contraddet­to nel Trio, sembra qui essere rapportabi­le direttamen­te al clima delle Danze e dei Laendler, mentre nel Finale il pianista si lancia davvero in una corsa verso la felicità che non conosce soste, quasi un paradigma del rapporto arte-vita che in parte contraddis­tinse il suo breve percorso terreno.

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