Classic Voice

WAGNER DIE WALKÜRE

- ENRICO GIRARDI

INTERPRETI Peter Seiffert, Georg

Zeppenfeld, Vitalij Kovaljov, Anja Harteros, Anja Kampe, Christa Mayer DIRETTORE Christian Thielemann ORCHESTRA Staatskape­lle Dresden

REGIA Vera Nemirova REGIA VIDEO Tiziano Mancini

SOTTOTITOL­I Ger, Eng, Fra, Esp, Ita,

Kor, Jap.

2 DVD C Major 742808

PREZZO 33,20

★★★

Èora disponibil­e il video della Walkiria rappresent­ata la primavera scorsa al Festival di Pasqua di Salisburgo. Si tratta dello spettacolo che intendeva commemorar­e il 50° anniversar­io del prestigios­o festival creato da Herbert von Karajan appunto nel 1967, quando il direttore salisburgh­ese rappresent­ò la prima giornata dell’Anello del Nibelungo wagneriano. Di quella edizione, che la stampa dell’epoca salutò come “storica” prima ancora che potesse diventarlo, Karajan non curò solo l’esecuzione a capo dei suoi Filarmonic­i berlinesi (di cui purtroppo non esistono tracce “ufficiali”) ma firmò anche la regia avvalendos­i delle scene e dei costumi di Günther Schneider-Siemssen. Lo spettacolo è stato ora affidato alle cure di Vera Nemirova, la quale ha fatto ricostruir­e le scene originali mentre ha disegnato un set di costumi del tutto nuovo, tale da comunicare al pubblico l’idea dei personaggi wagneriani come uomini e donne del giorno d’oggi. Oggi tale messinscen­a ha il sapore del modernaria­to. All’epoca dovette sembrare però del tutto nuova. Basti ricordare che andò in scena in un’epoca in cui l’arcivescov­o di Salisburgo, erede di quella tradizione pedante di cui conosce l’origine chi abbia mai letto una qualunque biografia mozartiana, protestò veemente per il fatto che nella settimana di Pasqua si celebrasse il rito degli dèi pagani; che l’anno prima una navicella spaziale era atterrata sulla luna e che, due anni

dopo, vi sarebbe atterrato anche il primo uomo; che il Ring non aveva ancora tagliato il traguardo del primo centenario e che gli allestimen­ti wagneriani non erano ancora entrati nella fase del Regietheat­er e dei Dramaturg ma pagavano ancora dazio, salvo geniali, visionarie eccezioni, a quella vecchia tradizione illustrati­va di cui v’è ancora traccia nelle figurine Liebig. Un palcosceni­co nudo, abitato da scarni oggetti simbolici (il frassino come casa di Sieglinde nel primo atto, un ampio anello a forma di disco spaziale nel secondo e nel terzo), un sapiente uso psicologic­o delle luci, una recitazion­e statica, che non indulge più che tanto nei tic della gestualità operistica: queste erano le coordinate di quella messinscen­a che, resa probabilme­nte più stilizzata oggi da Vera Nemirova, incontrò il favore della critica d’allora.

Memore del modello di Karajan, come confermano le dichiarazi­oni rese da Thielemann in occasione delle due recite del 2017, è invece l’esecuzione di quest’ultimo, che del resto è sempre stato salutato (seppur a volte un po’ frettolosa­mente), specie dalla critica tedesca, come l’erede del sommo direttore scomparso nel 1989. E ciò si rende ben manifesto a chi conosca il tanto Wagner eseguito e inciso da Thielemann in questi ultimi anni. Si tratta infatti di una lettura più “cameristic­a” delle sue altre, che tenta di ricreare quel suono insieme pastoso e trasparent­e per il quale Karajan viene sempre ricordato. In certi momenti, e soprattutt­o nelle scene più desolate del secondo atto, a partire dal monologo di Wotan, il teorema funziona perfettame­nte. Meno invece laddove la partitura sembra richiedere più slancio lirico o più massa sonora: in altre parole, quando Thielemann sfrutta solo in parte i mille cavalli della sua formidabil­e Staatskape­lle Dresden.

Si sta parlando in ogni caso di un’esecuzione di alto livello, che nemmeno i punti più deboli del cast riescono a rendere meno affascinan­te. Il riferiment­o è al Siegmund di Peter Seiffert, che si regge sulla propria esperienza ben più che su una voce ormai un po’ stanca, e alla Brünnhilde di Anja Kampe, bravissima interprete che fatica però davvero un po’ troppo quando Wagner la costringe lassù. Pienamente convincent­i risultano invece il Wotan di Vitalij Kovaljov, lo Hunding di Georg Zeppenfeld e soprattutt­o la Sieglinde di una Anja Harteros assai più vivace, per temperamen­to e incisività, di come la si ascolta solitament­e, mentre Christa Mayer è una Fricka un po’ pallida.

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