L’Ucraina di Silvestrov, ponte dell’amicizia con l’Italia a Ravenna; e culla per Gilels, Richter, Cherkassky e Horowitz
È l’evoluzione di ciò che Valentin Silvestrov avviò mezzo secolo fa. E che risuona a Ravenna Festival, dove il Ponte dell’amicizia lega Italia e Ucraina. Il compositore non ha dubbi: il suo paese è Europa
Da quella Terra d’Europa giungono le immagini di un pianoforte “sovversivo” suonato a turno dai manifestanti
un mondo in pieno fermento. La vita musicale in Ucraina, da periferia dell’Unione Sovietica, si sta smarcando dall’influenza russa, e guarda a un orizzonte europeo e internazionale. Il teatro dell’Opera di Kiev ha da poco festeggiato i suoi 150 anni di vita con un festival dell’opera italiana, e ha programmato una trilogia contemporanea con Limbus di Gervasoni, Pane, sale, sabbia di Carmine Emanuele Cella, e Luci mie traditrici di Sciarrino. Non sorprende dunque che il Ravenna Festival si sia quest’anno gemellato con la città di Kiev (meta del “Viaggio dell’amicizia”, dove Muti dirigerà pagine di Verdi e Copland), e che dedichi un focus a Valentyn Silvestrov, figura emblematica della musica ucraina, con un incontro e due concerti a lui dedicati, uno con il Duo Gazzana, l’altro con l’Orchestra e il Coro dell’Opera Nazionale Ucraina diretti da Mykola Diadiura. Nato a Kiev nel 1937, Silvestrov ha iniziato la sua carriera di compositore da posizioni avanguardistiche, imitando tecniche e procedimenti usati dai giovani compositori negli anni cinquanta e sessanta. Negli anni settanta Silvestrov ha adottato una sorta di polistilismo che mirava a rielaborare e stili musicali del passato, in una prospettiva estetica vicina a quella di Alfred Schnittke, caratterizzata anche da un forte interesse per la poesia (come quella del celebre poeta ucraino Taras Ševcenko, alla base della Cantata IV del 1977, che sarà eseguita a Ravenna). Rifiutando l’idea di innovazione (“Io non scrivo nuova musica: la mia musica è una risposta, un’eco, a qualcosa che già esiste”), è quindi approdato a una musica post-romantica, con echi di Mahler e di Bruckner, con ampie arcate melodiche (che pervadono Elegia e Pastorale: pezzo per orchestra d’archi e pianoforte composto nel 2011 alla memoria del compositore Andrei Volkonsky), con un uso atmosferico dell’armonia, un certo gusto per i colori pastello e un’idea della forma musicale legata alla natura, intesa come ricerca di armonia
fra l’uomo e il mondo (lo dimostrano le sue otto sinfonie, composte nell’arco di cinquant’anni, piene di giochi risonanti, sonorità sospese, dalla forte carica evocativa).
Qual era all’epoca il suo rapporto da compositore con la linea culturale dell’Unione Sovietica?
“Sia allora che oggi continuo ad apprezzare e amare le opere di Prokofiev, Sostakovic e Ljatošinskij. Questi compositori (e molti altri) hanno resistito ai colpi dell’ideologia sovietica, ma sono proprio loro, e non le altre centinaia, a rappresentare adesso il volto della musica sovietica. E lo stesso può dirsi per la letteratura sovietica. Per quanto riguarda la cultura sovietica e russa, credo sia necessario un chiarimento. Non esiste una cultura russa, ma esiste la cultura di un impero che si chiamava Russia. In questo impero - così come in altri imperi - era necessario avere una sola lingua (per il comando e per l’esercito) e a partire da questa lingua russa tutti i popoli che facevano parte dell’impero hanno sviluppato la loro cultura. Alla caduta della Russia zarista e dell’Unione Sovietica è rimasta una grande cultura in lingua russa. Ma questa non è la cultura dell’attuale Federazione Russa. Dopo la caduta dell’Impero romano, rimase la lingua latina. La lingua russa è il ‘latino’ dei paesi post-sovietici. E tutti i paesi coloniali possiedono la lingua dell’impero come risarcimento e la propria lingua: questo va apprezzato”.
Dopo la fase avanguardistica, e composizioni come Spectrums, Hymn, la Sinfonia n. 2, lei è approdato a un nuovo linguaggio musicale, che ha definito “metamusica” come una sorta di “musica metaforica”. Cosa ha in comune questa svolta con le correnti del post-modernismo europeo?
“Con l’estetica del post-avanguardismo non ho alcun legame; il legame è puramente esteriore. Lo stile metaforico è la continuazione dell’avanguardia - ‘avanguardia dell’altra faccia, del rovescio della Luna’. Il paradosso di Schoenberg era: ‘Per dire la stessa cosa, bisogna dirlo in modo diverso’. E io posso aggiungere: ‘Per dire qualcosa di diverso, è necessario dire la stessa cosa’. Questo è lo stile metaforico”.
Cosa è cambiato nella vita musicale dell’Ucraina dopo il suo distacco dall’Unione Sovietica?
“L’Ucraina non solo si è distaccata: dopo il crollo dell’Unione Sovietica è diventata uno stato indipendente. E tutte le intenzioni di Putin di ripristinare l’impero sono un’impresa stupida e pericolosa. La nuova Russia, che dovrebbe essere già chiamata semplicemente ‘Federazione Russa’, dovrebbe lavorare in casa propria e non mettere il naso negli ‘orti dei vicini’. Solo allora, potrebbe diventare un grande stato senza colonie. L’Inghilterra, la Francia e la Germania, pur avendo perso i loro imperi, continuano a essere grandi Paesi, senza cercare di ripristinare il loro ex potere imperiale. In Ucraina in questo momento, nonostante tutte le difficoltà, c’è una grande fioritura della cultura, molte mostre e festival. Non c’è più l’oppressione dell’ideologia”.
Alcuni interpreti come Virko Baley hanno avuto un ruolo importante nella diffusione internazionale della sua musica. Quali sono gli altri interpreti cui è stato particolarmente legato?
“Oltre Virko Baley, prima di tutto io farei il nome di Igor Blazhkov, che ha avuto un ruolo molto importante nella mia crescita musicale; lo stesso dicasi di Roman Kofman, Vladimir Sirenko e Andrej Borejko, che ha diretto nel 1992 al festival da me organizzato a Sverdlovsk. Voglio menzionare il soprano Inna Galatenko e il pianista Oleg Bezborodko, i quali hanno eseguito molte delle mie composizioni, canzoni su testi classici. Un ruolo fondamentale nella mia vita musicale lo hanno il pianista Aleksej Lubimov e il direttore d’orchestra Vladimir Jurowskij, entrambi di Mosca. E potrei ancora aggiungere Mikola Gobdich, direttore del coro ‘Kiev’, e Valery Matjuchin, direttore della Camerata di Kiev”.
La Sinfonia n. 5 (1982) è considerata da molti il suo capolavoro e un esplicito omaggio a Mahler. Oltre a Mahler quali sono i compositori con i quali trova più affinità nel linguaggio del suo ultimo periodo creativo?
“Attualmente sono più orientato verso Bruckner che Mahler. Bach, Mozart, Schubert, Chopin, Glinka, Ciaikovskij non si allontanano mai da me. Invece, secondo me, il classicismo viennese sta entrando in ombra in questo momento. Ora l’avanguardia per me è quasi inesistente o esiste semplicemente come potenziale opportunità”.
La sua musica è spesso accostata a quelle di compositori come Henryk Gorecki, Alexander Knaifel, Giya Kancheli. Quali sono i compositori della sua generazione che lei sente più vicini al suo percorso creativo?
“Tutti loro, tranne Górecki, suscitano la mia simpatia e il mio interesse. Devo aggiungere Gubajdulina, Pärt, Mansurjan e Balakauskas. Tuttavia, dal punto di vista stilistico, mi sembra di essere indipendente dalle mie simpatie e di ‘operare’ sul mio umile territorio, che è esso stesso parte del vasto territorio della musica e che è ‘la mia propria casa’. Da questa ‘casa’ è decollata anche tutta la musica classica dei secoli XVIII-XIX. È necessario, seppure temporaneamente, smettere di interagire con i suoni come fossero pietre, strutture, trame - smettere cioè di utilizzare una scrittura intenzionale - e cercare invece di ricreare la sensazione della musica come un dono, ‘aspettare la musica’ e non ‘inventarla’. Il mondo è pieno di composizioni che non hanno memoria, ma esistono solo sulla carta o solo in fase di esecuzione. È auspicabile che l’attualità della musica contemporanea sia indirizzata verso il concetto del dono - e questa sarà la Metamusica”.
Dal 2000 lei ha composto molta musica corale, caratterizzata spesso da contenuti e testi legati al suo paese come
Majdan Hymns e Prayers for Ukraine.
C’è un dichiarato intento politico in queste scelte? C’è un legame con la tradizione della musica liturgica della chiesa ortodossa ucraina?
“Dal 2003 ho composto molta musica per pianoforte, che ho chiamato ‘Bagatelle’, a cui si possono aggiungere molte composizioni corali (coro a
cappella per testi liturgici e classici). Non so se ci sia un legame con la tradizione, ho semplicemente composto la musica sopra i testi, così come li comprendo e li sento oggi.
Perché ha dedicato un lavoro corale come Diptychon, su testo patriottico di Taras Shevchenko, alla memoria di Sergey Nigoyan?
“Durante Maidan (2014), ho composto un grande ciclo che è nato in seguito agli eventi: questo ciclo comprende 5 inni (su testo di Chubinsky) e preghiere liturgiche. La dedica a Sergey Nigoyan fa parte di questo ciclo, così come Preghiera per l’Ucraina. Questo ciclo per coro a cappella si chiama Maidan-2014”.
Le ingerenze della Russia sono sempre state forti sul piano politico ed economico. Lo sono state, e lo sono, anche sul piano culturale e musicale?
“Non si tratta di ingerenza, ma di accoglienza di un dono. Così come un dono è l’eredità culturale di Inghilterra, Germania, Italia o Francia. Non è questo l’effetto dell’aggressione della Federazione Russa, dove la grande cultura russa è spesso ignorata. Nella Federazione russa, ovviamente, la cultura russa dell’impero zarista e dell’Urss continua ad esistere, ma questa cultura contraddice profondamente e rifiuta i metodi e le politiche delle autorità attuali”.
C’è oggi in Ucraina più interesse verso la cultura e la musica occidentale o per quella russa?
“Per l’Ucraina finalmente ora, dopo molti secoli, si è aperta la prospettiva di diventare un Paese normale con una sua cultura che, naturalmente, accoglie tutti i doni del mondo civilizzato, ma non accetta le sciocchezze ideologiche imposte dal nostro vicino per mezzo di un’ortodossia falsamente interpretata e un desiderio idiota di grandezza (Terza Roma?)”.