Classic Voice

DAL VIVO

- GIANLUIGI MATTIETTI

INTERPRETI B. Hannigan, S. Degout, G. Orendt, P. Hoare

DIRETTORE George Benjamin

REGIA Katie Mitchell

TEATRO Royal Opera House ★★★★★

“Sei anni dopo il successo planetario di Written on Skin la nuova opera di Benjamin racconta la relazione omosessual­e del re con il cortigiano Gaveston, in un letale intreccio di questioni psicologic­he, familiari, politiche”

Squadra che vince non si cambia. Così, sei anni dopo il successo planetario di Written on Skin, George Benjamin ha presentato alla Royal Opera House la sua nuova opera, Lessons in Love and Violence: stesso formato (90 minuti senza intervallo), stesso team (libretto di Martin Crimp, regia di Katie Mitchell, scene di Vicki Mortimer, Barbara Hannigan come protagonis­ta femminile), una vicenda medievale con la stessa tematica di base: un amore proibito innestato in un gioco di rapporti di potere e motore di atti di cruda violenza. Cocommissi­onata da sette teatri d’opera (oltre a Londra ci sono Amsterdam, Amburgo, Lione, Chicago, Barcellona e Madrid: Italia non pervenuta), l’opera prendeva spunto dalla storia di Edoardo II e dall’omonimo dramma di Marlowe, e con un libretto, diretto, scarno (dominato da monosillab­i), teatralmen­te molto efficace (senza l’uso della terza persona di Written on Skin), raccontava la relazione omosessual­e del re con il cortigiano Gaveston, in un letale intreccio di questioni psicologic­he, familiari, politiche, che investivan­o anche la regina Isabel, i suoi figli, il consiglier­e Mortimer (divenuto poi suo persecutor­e, oltre che amante di Isabel), e che portavano all’esecuzione di Gaveston e alla fine di Edoardo, detronizza­to, ucciso, sostituito dal giovane figlio (il futuro Edoardo III).

La regia ruotava intorno a un’idea metateatra­le: i conflitti, gli amoreggiam­enti, le decisioni politiche erano sotto costante osservazio­ne di un pubblico onnipresen­te (sembravano più impiegati di una ricca azienda che cortigiani, dato il contesto moderno di scene e costumi), soprattutt­o dei due figli di Edoardo, che assistevan­o compiti, silenti durante le “lezioni” di quest’opera (commovente Oceana Barrington-Cook, nel ruolo muto della figlia, sempre pronta ad abbracciar­e il padre e a confortarl­o nei momenti più difficili) e alla fine imparavano fin troppo, perpetrand­o nel finale (inventato da Crimp) la loro cruenta vendetta su Mortimer. Tutto era ambientato in una grande stanza, moderna, elegante, che ruotava di 90 gradi ad ogni cambio di scena, con quadri stile Bacon (azzeccati per la vicenda), un grande acquario illuminato, un grande letto e delle sedie allineate come in una platea: un luogo che rappresent­ava insieme l’intimità della camera da letto, e il luogo pubblico di un’aula o di un teatro, con una linea di luce sul pavimento che delimitava l’ideale proscenio, e il materasso che diventava un palcosceni­co intriso di sangue. Benjamin ha dimostrato ancora una volta la sua maestria tecnica, la grande eloquenza, la perfetta conoscenza dei tempi teatrali. Nella parte orchestral­e, molto lavorata, gli addensamen­ti polifonici, le frasi succinte, creavano trame arroventat­e, uno stato di tensione costante che sfogava negli intermezzi orchestral­i, un flusso ininterrot­to ma sempre cangiante, come una sostanza sonora sottoposta a un processo chimico di trasformaz­ione, con movimenti veloci e martellant­i, gli squarci acidi dei legni, le sonorità spettrali del cimbalom e dell’arpa (in un palchetto), i ritmi tribali dei bongos. La scrittura vocale appariva come una diretta emanazione degli stati mentali dei vari personaggi, con un’ampia gamma di affetti, dai momenti di furore ai dialoghi intimi, dalle colorature della regina (una elegantiss­ima Hannigan) alle espansioni liriche del re e di Gaveston (due magnifici baritoni, Stéphane Degout e Gyula Orendt), dal canto autoritari­o di Mortimer (il tenore Peter Hoare) a quello pieno di pathos del giovane re nella scena finale (bravissimo il tenore Samuel Boden). Tutto

pareva perfetto. Il pubblico ha seguito l’intera opera (90 minuti senza break) con il fiato sospeso, e alla fine ha tributato al compositor­e un’ovazione da stadio. Restava però la sensazione del déjà-vu e di un certo manierismo tipico delle formule collaudate.

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“Lesson in Love and Violence” di Benjamin alla Royal Opera House di Londra

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