GLUCK ORFEO ED EURIDICE
INTERPRETI P. Jaroussky, P. Petibon
DIRETTORE Diego Fasolis
ENSEMBLE I Barocchisti
CORO di Radio France
REGIA Robert Carsen
TEATRO des Champs Elysées ★★★
“Se il disco è rimasto fedele all’idea iniziale, a teatro si è preferito ripiegare su una scelta più convenzionale, quella della versione della ‘prima’ viennese, finendo per deludere i più”
“Questa versione non s’ha da fare”. Chi comanda a teatro? La storia della recentissima produzione dell’Orfeo ed Euridice di Gluck al Théâtre des Champs Elysées riapre la questione. All’inizio c’era un progetto chiaro: produrre la versione di Napoli del 1774 che, quasi con la stessa équipe artistica, sarebbe finita tanto in disco (Erato) quanto in scena. Il CD sfornato in concomitanza avrebbe attizzato la curiosità, soddisfatta dalla
scena: mentre tutti conoscono l’Orfeo della “prima” a Vienna del 1762 e quello francese del 1774 (anche quello rivisto da Berlioz nel 1859 per Pauline Viardot non ha troppi segreti), l’occasione era ghiotta per vedere rappresentata la versione concepita per Napoli lo stesso anno di Parigi. Ma niente è andato per il verso giusto. Se il disco è rimasto fedele all’idea iniziale, a teatro si è preferito ripiegare su una scelta più convenzionale, quella della versione della “prima” viennese, finendo per deludere i più. E come se non bastasse, il regista Robert Carsen ha gridato sui tetti delle radio e delle televisioni che l’Orfeo del 1762 incarna purezza e semplicità – tesi rimessa in questione dalle ricerche musicologiche – non come quello tutto orpelli delle riscritture successive… Riuscire a creare maggiore confusione sarebbe stato difficile. Ma che è veramente successo? Carsen aveva già una produzione bella e pronta (quella pensata per Chicago nel 2006) e non aveva voglia di rimettere le mani in pasta. La sua è una lettura tetra del mito che probabilmente non avrebbe funzionato con una partitura, ritoccata a Napoli non solo nella parte orchestrale, ma anche drammaturgicamente con due nuovi numeri (la riscrittura di “Vieni appaga il tuo consorte” e l’aggiunta di “Tu sospiri… ti confondi” che prende il posto di “Che fiero tormento”), composti da un tale Diego Naselli che fu allievo di Davide Perez. Comunque sia, l’opera in bianco e nero di Carsen pare a corto di idee. E confonde i morti con le furie che accolgono Orfeo nell’Ade, mettendoli tutti a terra e appiattendo così un effetto plastico, invece chiaramente voluto da Gluck.
Dal disco alla scena, i musicisti sono gli stessi. L’unica eccezione riguarda il personaggio di Euridice, incarnata in un caso da Amanda Forsythe e nell’altro da Patricia Petibon. È più solare l’Euridice della Forsythe, rispetto a quella della Petibon che dispone di una sola aria. Nei due Orfeo, l’eroe eponimo è interpretato da Philippe Jaroussky, il sovrano assoluto della corte dei controtenori. Attore abile quanto cantante dalla tecnica sicura, Jaroussky rende in maniera convincente i patemi del più celebre degli amanti: a dispetto di una proclamata “semplicità”, la parte già ardita della versione di Vienna, concepita per Gaetano Guadagni, diventa ancora più impervia nella riscrittura di Napoli per Gasparo Pacchiarotti. La delusione maggiore viene probabilmente dall’orchestra. I Barocchisti hanno saputo, sotto la direzione di Diego Fasolis, costruirsi una fama solida, guadagnata da incisioni acclamate del repertorio barocco (specie Vivaldi e Bach). Avviluppati dall’acustica ingrata del Théâtre des Champs Elysées, sono apparsi irriconoscibili: un suono soffocato, un tono monocorde e un’intonazione traballante. Per fortuna, il disco rende loro onore: là, ritroviamo lo smalto di cui sono capaci. Preparato dall’ottimo Joël Suhubiette, il coro di Radio France rivaleggia in scena con l’omologa falange della Radiotelevisione svizzera arruolata per il cd. I due Orfeo pari non sono. E probabilmente la scelta di voler salvare capre (i diktat registici) e cavoli (le esigenze artistiche) ha penalizzato tutti e soprattutto Gluck.