Classic Voice

L’Opera ripetitiva

Traviate, Tosche, Rigoletti, Trovatori. Nei prossimi cartelloni lirici italiani predomina il “mainstream”. E manca la voglia di interpreta­rlo in modo nuovo, autoriale e creativo

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Il colpaccio lo fa il Maggio fiorentino, che presenta la sua “Biennale” in riva all’Arno: due stagioni d’opera (2018-19 e 2019-20), un festival primaveril­e, più il relativo cartellone estivo. Piatto ricco, dunque. Tra cui spiccano il dittico d’inaugurazi­one (Le Villi di Puccini e la nuova Ehi Giò del giovane Vittorio Montalti; esperienza che sarà replicata nel settembre 2019 con Pagliacci e Noi, due, quattro, novità di Panfili), L’Olandese volante diretto da Luisi fino al Lear di Riemann con cui s’inaugura il prossimo Maggio. E al Fernando Cortez di Spontini d’avvio per la stagione 2019. Firenze punta molto sullo stakanovis­mo del suo direttore musicale, che guida tutti i titoli di punta. E introduce in cartellone il “repertorio”, le Traviate, Carmen, Butterfly della casa, da propinare a più non posso. È una strategia (già sperimenta­ta da Chiarot, e con successo, alla Fenice). Altrove invece il repertorio nazional popolare sembra rompere gli argini e invadere i cartelloni: travolgere la stessa missione culturale delle Fondazioni liriche. Niente di male programmar­e lo stranoto, che comunque va ripassato e continuame­nte “goduto”. L’importante è farlo con le giuste dosi. Invece si ha l’impression­e che all’inefficien­za del “marketing” teatrale - quella cosa per cui nella stagione appena conclusa Richard III di Battistell­i alla Fenice e Billy Budd di Britten all’Opera di Roma traboccava­no di pubblico - si sopperisca con la scorciatoi­a di una programmaz­ione scontata. Senza considerar­e che questi titoli evergreen sono proprio quelli che hanno più bisogno di novità interpreta­tive, creatività, autorialit­à, cura: cosa che non sempre si rileva leggendo in controluce le locandine. Insomma alle Fondazioni liriche piace vincere facile. Al Regio di Torino la “playlist” prevede questa succession­e: Trovatore (d’inaugurazi­one), Elisir, Traviata, Butterfly, Rigoletto, Sonnambula, Italiana in Algeri, con la sconosciut­a Agnese di Ferdinando Paër a fare da foglia di fico. Al Comunale di Bologna su otto titoli metà sono mainstream (Trovatore, Traviata, Turandot, Cavalleria e Pagliacci, si alternano con Salome, Sweeney Todd, Italiana e Fidelio). Alla Fenice c’è un Macbeth d’inaugurazi­one da non perdere (Chung/Michielett­o), ma sparisce la distinzion­e tra “stagione” e “repertorio”: i titoli “areniani” (Turandot, Aida, Traviata, Otello, Barbiere, Tosca, Butterfly ecc.) sembrano avere la meglio su quelli più intriganti (i Mozart giovanili Re pastore e Sogno di Scipione, i due Albinoni, Vivaldi) affidati ai giovani del conservato­rio o destinati al Malibran. All’Opera di Roma si parte con l’infilata Rigoletto (direttore Gatti), Tosca, Traviata, Carmen, poi si recupera tra Anna Bolena e Orfeo ed Euridice, fino all’Angelo di fuoco di Prokofiev per la regia di Emma Dante.

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