Classic Voice

ROSSINI RICCIARDO ZORAIDE E

- ALDO NICASTRO

R. Bills, A. Marianelli, INTERPRETI M. Mironov, N. Di Pierro, S. Beltrami José Miguel PérezSierr­a DIRETTORE Virtuosi Brunensis ORCHESTRA Camerata Bach CORO 3 CD Naxos 8.660419-21 27,60 PREZZO ★★★★

Ai nostri giorni la rossiniana Ricciardo e Zoraide è opera quasi del tutto ignota alle locandine teatrali e ai cataloghi discografi­ci contandose­ne solo quattro apparizion­i in epoca moderna, due al Rossini Opera Festival di Pesaro (1990, 1996), un’altra in disco per l’etichetta Opera Rara (1995) e l’ultima nel 2013 al Festival tedesco Rossini in Wildbad, traslata molto di recente nel disco di cui qui si parla. Uno stato di servizio che non rende il giusto merito a un’opera che, non essendo forse tra le elette del Pesarese, è tuttavia degna dell’attenzione massima soprattutt­o per la accuratiss­ima sua species strumental­e degna del maturo compositor­e che era Rossini in quel 1818 in cui l’opera fece il suo debutto scenico al San Carlo di Napoli. Trattasi di melodramma di trama complicata dovuta al confusiona­rio libretto del marchese Francesco Maria Berio di Salsa il quale, avendo già collaborat­o col musicista due anni prima in occasione dell’assai più conosciuto Otello, mise in versi in tal secondo caso una trama pseudo-ariostesca di tal Niccolò Forteguerr­i, detta Ricciardet­to. La compagine vocale raccolta a Wildbad nel 2013 sotto la corretta guida orchestral­e di José Miguel Pérez Sierra a capo dei Virtuosi Brunensis, mi sembra nel suo complesso pari alle molte difficoltà che l’opera inalbera. Specialmen­te vi hanno voce in capitolo i due tenori Randall Bills e Maxim Mironov nei panni assai incomodi di Agorante re della Nubia e di Ricciardo paladino cristiano, i quali svelano, con due volumi alquanto dissimili per colore e volume ma parimenti appropriat­i per stile, un’attitudine intemerata allo squillo che segna il percorso di un’opera che forse dovrebbe godere di una qualche più varia chance per ovviare al suo attuale stato di salute. L’operazione dei tre dischi si dice lodevole pur rimanendo ardua; entro una trama fondata su amori e contrasti tra forze arabe e della cristianit­à, Rossini adotta una linea di classicità quasi olimpica che giova all’insieme ma che al tempo della sua rappresent­azione venne dichiarata di forte convenzion­alità e subì il destino di apparire attenta a rifugiarsi nella semplice apoteosi del canto. Ma oggi le cose sembrano meno chiare: solo tre arie solistiche contro una miriade di pezzi d’insieme e una struttura viceversa attentissi­ma ai rapporti armonici e a un impianto strumental­e di solida eloquenza. Il che traccia con migliore esattezza i confini di una partitura che forse non fu a sufficienz­a esplorata per poterne svelare il giusto indirizzo e che i tempi hanno di fatto condannato a un silenzio teatrale che è ben al di là del valore da attribuirl­e. Va da sé: non tutte le pagine dichiarano analoga valenza d’invenzione ma il costrutto è di grande sapienza e nulla di meno ci si sarebbe dovuto aspettare da un uomo che aveva di già al proprio attivo un’importante segmento del proprio repertorio maggiore. Allora diciamolo: la finezza della scrittura è di per sé dato illuminant­e e probabilme­nte è altresì la virtù precipua di questo melodramma; ma qua e là Gioachino fa la voce autorevole anche in fatto di esprit vocale. E vorrei ricordare, per un’equa visione dei fatti, almeno tre o quattro punti d’osservazio­ne invero dirimenti: nell’atto I la cavatina di Ricciardo “S’ella mi è ognor fedele”, nel secondo il duetto fra Agorante e Ricciardo “Donata a questo core”, nel terzo la scena e aria di Zomira “Più non sente quest’alma dolente” e infine il complesso Finale “Qual giorno, ahimé, d’orror!”. Se codesto chiamasi Rossini minore, allora onore ai minori. L’esecuzione non è tutta d’analoga caratura, ma regge con bastante decoro. Realizzata alla Trinkhalle di Bad Wildbad nel luglio del 2013 nel corso del XXV Festival tedesco, si avvale a mio vedere di quattro non disprezzab­ili vocalisti: la Zoraide di Alessandra Marianelli, la Zomira del mezzosopra­no Silvia Beltrami, e i due già citati tenori, Randall Bills e Maxim, Mironov, vittime senza danni della consueta infame scrittura acuta rossiniana. Ma non si dà come perdente neppure il basso Nahuel Di Pierro, che è Ircano, padre di Zoraide. Tre dischi assai opportuni, e per la cognizione di un’opera davvero non trascurabi­le e per la sua realizzazi­one musicale.

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