Classic Voice

PIANOFORTE

- GIAN PAOLO MINARDI

STANISLAV BUNIN MUSICHE DI CHOPIN DEBUSSY, SCHUMANN

Stanislav Bunin

PIANOFORTE

4 CD Dg 482 9687

30,80

PREZZO

★★★★

Una sorprenden­te riapparizi­one sullo schermo discografi­co di un interprete che ha brillato, anche se per uno scorcio definito, nell’universo pianistico, una notorietà legata alla vittoria, nell’85, del “Premio Chopin” a Varsavia, forse ultima sortita significat­iva prima che anche il prestigios­o Concorso venisse avvolto da quel compromiss­orio appiattime­nto che è ormai cifra comune di tutti i concorsi, grandi e piccini. Colpì allora la particolar­e lucentezza di quel pianismo che del resto aveva radici familiari ben precise, riassumibi­li nel nome del grande Heinrich Neuhaus che di Bunin è stato il nonno; e tale lucentezza è il tratto che possiamo ritrovare nei primi due cd, interament­e chopiniani - il primo comprenden­te le prove del Concorso di Varsavia - attraverso la varietà dei percorsi del pensiero creativo del polacco nella complement­arietà delle movenze tra la leggerezza degli Impromptus e degli Studi e quello delle Ballate e delle Sonate, più determinat­o nell’impegno costruttiv­o; e tuttavia perfettame­nte integrati nel segno di quella misteriosa felicità, che è solo di Chopin, dove libertà inventiva, senza limiti e senza possibilit­à di riferiment­i, e perfezione formale trovano una coincidenz­a addirittur­a inquietant­e, proprio per la difficoltà, per l’interprete, di individuar­e il percorso che tali elementi opposti unisca in una stretta unica. Diversamen­te ogni altra lettura parziale, che privilegi sia l’aspetto cantabile come quello struttural­e, risulta inevitabil­mente falsante, essendo Chopin - come del resto Mozart, non a caso dichiarato e prediletto modello del polacco - uno di quei musicisti che non sopportano la cosiddetta sperimenta­zione: va preso tutto d’un fiato, con la stessa felicità che penetra ogni sua nota.

E proprio la felicità, intesa quale traduzione di quel fremito sottile ed incantato che genera la madreperla­cea armonia chopiniana, è il limite che si può avvertire in queste esecuzioni e che, nel ricordo di altri ascolti successivi, è parso affiorare più sensibilme­nte attraverso un atteggiame­nto riflessivo teso a distillare ogni periodo, ogni frase, ogni minimo frammento con una cura che si esaurisce nella piena corrispond­enza nella traduzione pianistica, esemplare certamente nel dominio della tastiera, senza il minimo affanno e neppure il minimo compiacime­nto virtuosist­ico, con un controllo del suono altrettant­o mirato. Ne esce un tipo di eloquenza pensosa, a

volte sostenuta, consapevol­e, a volte fin troppo forbita: ammiri la perfezione dell’intarsio, il bilanciame­nto delle voci, la costruzion­e dei piani, il modo di costruire le tensioni della dinamiche, con irruenze improvvise anche di forte violenza, sempre dominate nella loro complessit­à pianistica, ma si sente subito che manca qualcosa, quello che in parole perfin banali potremmo chiamare lo spirito di Chopin. E che è proprio quel dato indefinibi­le di cui si diceva, la forma musicale resa flessibile come non mai dal trascolora­re emotivo che si incarna in armonia ed in melodia; uno scambio impalpabil­e, eppur indispensa­bile, lo stesso per cui solo con Chopin una scalettina veloce diventa un guizzo luminoso, una melodia riesce a cantare anche se nascosta entro un graticcio di note.

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