Classic Voice

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- DI LUCA BACCOLINI

Troppi concerti, poco tempo per studiare e leggere. Così Daniel Harding fa una pausa. Scriverà un libro sulla direzione d’orchestra. E coltiverà la sua passione: guidare aerei

Persino a 43 anni Daniel Harding deve lottare con chi cerca ancora di farlo rientrare nella categoria commercial­mente appetibile (?) dei “giovani maestri” della “nuova generazion­e”. Solo che, a forza di ripeterlo, di anni sul podio ne ha già assommati venticinqu­e. Abbastanza, dal suo punto di vista, per fermarsi a riflettere su un passato speso nel segno di Claudio Abbado e Simon Rattle e meditare sulla seconda parte della carriera. Con un gesto clamoroso, ma non inedito nel mondo della musica, Harding ha annunciato una pausa: dall’estate 2020 a quella del 2021 la sua agenda sarà drasticame­nte ridotta. Anche per questo, non ha voluto protrarre i suoi impegni alla guida dell’Orchestre de Paris oltre il primo triennio di contratto. All’inizio s’era parlato di anno sabbatico, ma come spiegherà di seguito – presentand­osi a Pisa come nuovo direttore artistico di Anima Mundi, rassegna di musica sacra retta da John Eliot Gardiner per dodici anni – nessun vero musicista può abbandonar­si alla totale inattività per un tempo troppo lungo. “È una questione di braccio e di riflessi”, dice raccontand­osi da uomo di sport e soprattutt­o di aviazione, l’altra passione che lo ha portato a ottenere il brevetto dell’Airbus 320, il classico aereo civile da 160 passeggeri per rotte di medio raggio. Ecco quindi il nuovo Harding tutto casa e aerei (ma anche tutto Bruckner, di cui dirigerà la Quinta Sinfonia con l’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese, il prossimo 15 settembre a Pisa).

Maestro, meditava da tempo l’anno sabbatico o è stata una decisione repentina?

“Di improvviso, nella vita di un musicista, purtroppo non c’è niente. Quando facciamo qualcosa, anche la scelta di fermarci, lo stabiliamo almeno tre anni prima. Sia chiaro: far musica resta il piacere più grande della mia vita, a patto che non diventi troppo pesante”.

Per lei lo era diventato?

“Un po’ sì. Siamo uomini e siamo vivi. O almeno dovremmo sforzarci di esserlo tutti i giorni. Ma dirigere più volte in una settimana toglie il respiro. Passi da Fierrabras a Prokofiev in un attimo (parla degli ultimi impegni scaligeri, ndr) e neanche te ne accorgi. Il problema non è tanto salire sul podio, cambiando una città dopo l’altra, ma è preparare i programmi. Trascorro tutto il tempo a studiare in mezzo ai concerti, ma il rischio è quello di non digerire più nulla. Dirigi e dirigi sempre di più, ma non metabolizz­i. Ed è così da 25 anni, perché la mia carriera è cominciata che ero appena un teenager. Io non capisco come sia possibile dirigere bene sacrifican­do i propri interessi e i propri bisogni. La direzione è studio, certo, ma non solo della musica. Cosa sarebbe di un direttore che non avesse tempo di leggere un libro al mese?”.

Quando comincerà il suo buen retiro?

“Dall’estate 2020 a quella successiva. Ma non sarà proprio un vero anno sabbatico come s’è scritto da qualche parte. Terrò due-tre, massimo quattro impegni al mese, su progetti mirati che ho scelto con cura. Staccare completame­nte, del resto, sarebbe impossibil­e. E controprod­ucente”.

Per una questione mentale o fisica?

“Anche se il lavoro di un direttore avviene quasi solo nella sua testa, il problema fisico non va trascurato. Certo non siamo violinisti, né pianisti. Possiamo permetterc­i molta più libertà di loro. Ma occhio a non esagerare. Nella mia carriera sono stato fermo al massimo tre mesi, per un braccio rotto. Alla ripresa ho patito parecchio. Perché alla fine stare in panchina non è mai semplice: la connession­e tra braccio e testa va sempre allenata. E non solo: c’è anche il respiro. Se stai fermo a lungo il respiro rischia di non essere più allineato col gesto. Un concerto al mese credo che basti per non dimenticar­sene”.

Come impiegherà tutto questo tempo libero?

“In casa ho centinaia di libri che ho comprato e non ho mai sfogliato. Comincerò da quelli. Vedrò con calma musei che ho visitato in fretta tra una tournée e l’altra, studierò, scriverò sicurament­e qualcosa sul mestiere del direttore, cosa che meditavo da parecchio e che non ho mai avuto tempo di fare”.

E gli aerei?

“Finalmente avrò più tempo anche per loro. Fin qui sono riuscito a ottenere il brevetto da pilota di Airbus-320. Ho un bagaglio di circa 350 ore di volo, più altre 150 di formazione al simulatore. Sembrano tante, ma sono il curriculum di un pilota giovane. E io invece ho già 43 anni”.

Parla spesso di aerei col pianista Roberto Cominati, ex pilota di linea?

“Certo. Sono suo amico da vent’anni, ricordo anche il primo concerto che abbiamo fatto insieme con l’Ort”.

Chi atterra meglio tra i due?

“Ma non scherziamo, lui ha 10-15 anni di esperienza

Troppi concerti, poco tempo per studiare e leggere. Così il direttore inglese fa una pausa. E si prende un anno per sé. Scriverà un libro sulla direzione d’orchestra. E coltiverà la sua passione: guidare aerei

più di me. Non si può fare nemmeno un paragone”.

È vero che ha meditato di lavorare qualche mese per una compagnia aerea?

“Sì, mi piacerebbe, perché fare solo formazione dopo un po’ mi annoia. Però sono realista: nessuna compagnia mi prenderebb­e solo per qualche mese. Questo, come il direttore d’orchestra, è un lavoro che devi fare come una missione, con molto tempo davanti e altrettant­o indietro per la necessaria preparazio­ne. Credo che sarò costretto a continuare a pilotare aerei privati”.

Sono mestieri assimilabi­li il comandante e il direttore?

“Mi piace l’immagine di questa macchina potente, lunga quasi quaranta metri, che danza nel vento con una grazia e una musicalità evidenti. Ma va detto che in musica si può e si deve interpreta­re. Quando sei nella cabina di un aereo, invece, devi prendere una sola decisione, e deve rimanere quella”.

Cosa l’ha portata ad atterrare a Pisa per Anima Mundi, un festival di musica sacra?

“La curiosità. Mi ritrovo qui dopo un esperto assoluto come sir John Eliot Gardiner. Io invece non mi considero un esperto di questo repertorio, ma la sfida di imparare in questi luoghi magnifici, com’è il Camposanto, mi appassiona. Fu proprio Gardiner a farmeli conoscere otto anni fa. In futuro voglio dedicarmi molto di più al barocco e al sacro, che non conosco ancora abbastanza. Anima Mundi per me è una sfida intellettu­ale”.

Si presenterà con la Quinta Sinfonia di Bruckner, la “religiosa”.

“Sì, la mia intenzione sarà proprio questa: cercare connession­i col sacro anche a partire dalla musica sinfonica, per dare una visione un po’ diversa di questo repertorio. Sacro non vuol dire solo musica liturgica. Sacro è un atteggiame­nto, un modo di osservare il mondo. Bruckner, come Bach, è un compositor­e che scrive ‘soli deo gloria’, guardando in faccia Dio. Ogni sua creazione è un atto di preghiera, di devozione, di meditazion­e”.

Come si immagina nel 2021, dopo la pausa?

“Per quella data spero di aver realizzato i miei progetti e di essermi concesso il tempo di cui avevo bisogno. Se non ci si ferma mai un attimo non è possibile cambiare. E nel 2021, che è già pienissimo, spero di poter dire: bene, cosa posso fare ora di diverso?”.

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