CLASSIC VOICE CD
L’Arte della Fuga non è un esercizio cerebrale ma un contrappunto “infuocato“che Bach avrebbe voluto diffondere nei più diversi organici. E che invece rimase incompiuto
“L’Arte della Fuga viene eseguita per organo come ipotesi più verosimile, ma non dovrebbe essere eseguita, bensì ricercata nel corso degli astri, nel flusso delle maree, nel volgere delle stagioni: non è opera di Bach, al contrario è Bach che le appartiene e in essa si è dissolto”. Così scriveva Paolo Fenoglio nell’ormai lontano 1979, ma simili fumisterie pseudomistiche hanno tuttora corso fra i dilettanti di “grandi sintesi culturali” e i non rari orfani della Filosofia dello Spirito. Per costoro, intenti a scovare dovunque i precorrimenti della “musica astratta” e della “composizione disinteressata”, gli ultimi grandi prodotti della creatività bachiana sono per forza metamusica, armonia delle sfere che i comuni mortali non devono permettersi di udire, ma solo venerare sulla carta. Una più sobria disamina delle fonti manoscritte sfata la leggenda del Canto del Cigno (una stesura provvisoria era forse già abbozzata verso il 1742), mentre in base alla prassi esecutiva del tempo si possono immaginare soluzioni pratiche molto probabili benché non esclusive: clavicembalo con pedaliera, due clavicembali,
Non è un’opera astratta, né un esercizio cerebrale. Ma un’“Arte” di contrappunto “infuocato“che Bach avrebbe voluto diffondere attraverso i più diversi organici. E che per problemi di vista fu costretto a lasciare incompiuta
cembalo e organo positivo.
Sul preteso astrattismo cabalistico del Cantor la dice lunga una testimonianza del protobiografo Nikolaus Forkel:“Meno che mai infastidiva i suoi allievi con i calcoli delle relazioni numeriche fra le tonalità, che secondo lui non avevano alcun interesse per i compositori, ma semmai per i teorici e i costruttori di strumenti musicali”. Altra cosa è la constatazione, di per sé non peregrina, che la sintesi formale di Bach e la logica costruttiva delle sue architetture sonore sono così potenti da rendere pressoché irrilevante il mezzo esecutivo (organo, pianoforte, quartetto d’archi, gruppo di fiati, orchestra da camera, vocalizzi a cappella senza parole). Così si è fatto a partire dagli Anni Venti del secolo scorso, quando presero il via le prime esecuzioni pubbliche, e non è detto che l’Autore ne sarebbe scontento. Il suo progetto era, comprensibilmente, di esporre il lavoro alla pubblica attenzione per mezzo delle stampe, non certo di affidarlo al flusso e riflusso delle maree. Riuscì perfino a correggere alcune bozze ma, prima ancora che gl’incisori su rame terminassero il loro lavoro, la cataratta agli occhi lo costrinse a fermarsi. Un maldestro chirurgo inglese, lo stesso che pochi anni dopo rimanderà Händel alla casa del Padre, fece il resto. Anche qui, a dispetto di tante speculazioni, non c’è motivo per dubitare della chiara testimonianza contenuta nel necrologio ufficiale del Maestro: “La sua ultima malattia gli vietò di portare a termine secondo il progetto la penultima fuga e di elaborare completamente l’ultima, che conteneva 4 temi e che in prosieguo doveva essere tutta invertita, nota per nota, nelle 4 voci”.