PLAYLIST
Icrediti (o debiti) anzitutto. Grazie al festival della Valle d’Itria che quest’anno s’è interessatamente gemellato con la Notte della Taranta e a Giovanni Bietti che ha, disinteressatamente e acutamente, raccontato la tarantella in un capitolo del suo recente Lo spartito del mondo. Ma tra le danze nazionali di grande fama e diffusione, e di amplissima presenza nella letteratura non popolare né improvvisata, il disegno ritmico-musicale che si lega per origine e denominazione al tarantismo pugliese, ha sempre ottenuto un’ospitalità ampia. In forma diretta (cioè come composizione che pone il termine tarantella nel titolo oppure citandola come episodio musicale a sé) ma anche indiretta, ovvero impiegando il caratteristico modulo ritmico nei movimenti veloce di composizione che adottano forme e qualifiche istituzionalmente riconosciute: sono così sagomati a mo’ di tarantelle, spesso a nostra insaputa, molti celebri Presto o Allegro conclusivi di sinfonie, sonate e via dicendo. Naturalmente con sostanziale osservanza della metrica ordinaria (anche non necessariamente quella originale in 6/8, 12/8 o 4/4 che coniugata seconda le tradizioni locali: in modo maggiore o minore).
Il primo esempio che ci viene in mente è il vorticoso movimento finale del Quartetto “La morte e la fanciulla” di Schubert ma sono molte altre le composizioni d’autore che esplicitano il favore che la tarantella godeva nella Vienna del tempo. Oltre a testimoniare quanto Schubert sapesse “giocare” con i ritmi di danza, incastonandoli in strutture tradizionali con naturalezza. Accade con esuberanza nel Presto vivace della Sinfonia n. 3 ch’è in forma-sonata ma giostra il metro di tarantella o, con ancor maggiore sofisticheria, nell’Allegro della Sonata in Do minore D 958 che miscela il ritmo italiano con una struttura ritornellata, a rondò: l’effetto è sorprendente anche perché l’elettricità musicale crea una sorta di “terza dimensione” ritmica e formale. Un altro esempio d’autore, più lineare, si ritrova nelle sezioni pari dell’Allegretto in Do minore D 346, la breve pagina scritta nell’aprile 1827 come omaggio a Beethoven. Dal canto suo l’amatissimo maestro che Schubert avrebbe scortato nelle esequie funebri non molte settimane dopo, aveva flirtato spesso con la danza italiana: a cominciare dal gemmato Allegretto della Sonata op. 31 n. 2 “La tempesta” (secondo David Rosen, è una scatenata tarantella anche il Presto con fuoco della sonata “La caccia” che conclude la terna dell’opera 31, seppure piegata a un libero “sistema” sonatistico) e con magnifica arroganza musicale nel Finale-Presto della Sonata “a Kreutzer”. La formazione violino- pianoforte in chiave “tarantolata”, rimanda subito da un lato ai alcuni capolavori della letteratura virtuosistica (come non citare l’Introduzione e Tarantella op. 43 di Pablo de Sarasate?) e di altri autori del secolo scorso come Karol Szymanowski (Notturno e Tarantella op. 28), e Stravinskij che su modello “napoletano” doc sagomò l’irresistibile numero di Pulcinella, molto interessante da ascoltare confrontando tra loro anche le due versioni solistiche (Suite italienne) per violino e violoncello che non “suonano” affatto analoghi. Con Pulcinella si torna alle origini, in Italia, e al prototipo di “tarantella classica”, la Danza (Tarantella) di Rossini citata/rifatta da Liszt e altri autori prima di essere trascritta per orchestra da Respighi per La Boutique fantasque, il balletto creato da Léonide Massine (1919) per i Ballets Russes. Il secolo scorso in realtà non declinò affatto le profferte seduttive della tarantella di cui troviamo l’eco e i modi in numerosissime partiture. Alla rinfusa ricordiamo Britten (tempo finale della Sinfonietta n.1), Prokofiev (il quarto pezzo di Musique d’Enfants, op. 65), Walton (in Façade) e via risalendo fino agli autori viventi come Helmut Lachenmann che all’irriducibile danza dedica nel 1980 un micro-quadro di Tanzsuite mit Deutschlandlied per quartetto d’archi e orchestra.