LULLY ARMIDE
M.-A. Henry, A. Figueroa,
INTERPRETI M. Mauillon, C. Auvity, J. van Wanroij, M.-C. Chappuis e altri
Les Talens Lyriques
ENSEMBLE
de Chambre de Namur
CORO
al cembalo Christophe
DIRETTORE
Rousset
2 CD Aparté AP135
25,60
PREZZO
★★★★
All’impresario romano Vincenzo Jacovacci, alias “sor Cencio”, che lo pregava d’intercedere con Ricordi per qualche sconto sui noli delle sue opere, Verdi suggeriva nel 1859: “Frugate nel repertorio classico antico, caduto nel pubblico dominio, e ve la caverete con pochi baiocchi. Sono tre opere che vi occorrono? Eccole: Nina pazza di Paisiello, Armida di Gluck, Alceste di Lulli”. Forse citava a memoria perché l’Armide più celebre è appunto quella di Lully, mentre di Gluck è insigne l’Alceste viennese del 1767. Ma che importa? Essendo Verdi un genio, certo comprendeva l’impraticità di un simile consiglio nelle vigenti condizioni di mercato. Il povero sor Cencio si sarà sentito preso per i fondelli; però gli sarebbe bastato attendere un altro secolo per constatare che anche Lully aveva di fronte a sé un bel futuro commerciale. Quindicesima opera scritta in collaborazione col librettista Quinault, e canto del cigno per lo sregolato genio fiorentino naturalizzato francese, l’Armide del 1686 ci si offre qui nella versione integrale registrata dal vivo alla Philharmonie di Parigi con qualità da studio: quasi 150 minuti di musica incluso il lungo prologo in lode del Re Sole, il più spudorato cumulo di adulazioni che mai un poeta sicofante abbia saputo escogitare nei secoli. Seguono cinque atti di couplets in implacabile rima baciata, tutti coi loro bravi doubles e ripresa corale danzata. Recitativi, cori e danze sono il piatto forte da capo a fondo, mentre i numeri drammatici o lirici, pur di squisita fattura, fioriscono assai parcamente, poco più di uno per atto: ricordiamo almeno il tenero monologo di Renaud ‘’Plus j’observe ces lieux’’ nell’atto II, la scenamadre di Armide esitante fra impulso omicida e passione amorosa (“Enfin, il est en ma puissance”, finale dello stesso atto), e il patetico duetto fra i sunnominati “Armide, vous m’allez quitter” (atto V), subito seguito da Passacaglia e coro dei Piaceri in una sequenza di aulico divertissement di poco inferiore al quarto d’ora. Per rendere digeribile al pubblico nostrano tale maestoso timballo Louis XIV abbisognano tutta la verve storicamente informata di Christophe Rousset e dei suoi Talens Lyriques, nonché la presenza di solisti versati nel canto trillato e talora un po’ gridato di rito gallicano, ma soprattutto nel flessibile recitativo arioso tipico di quella tradizione. Ottimi in questo senso l’energica protagonista
Marie-Adeline Henry, il soave haute-contre Antonio Figueroa (Renaud) e il sardonico tenore-taille Marc Mauillon (L’Odio). Lui stesso e madame Henry gareggiano nel terz’atto in accenti abrasivi e stimbrati, epitome di quella passione francese per il noir e le stregherie che oltre mezzo secolo dopo strapperà a un ascoltatore razionalista come Ranieri de’ Calzabigi finezze del tipo “zoccolantica vociaccia”. Ma insomma il gusto nazionale non è acqua. Chi viceversa non teme di tuffarsi nei gorghi della tragédie lyrique troverà tavole di salvataggio in alcuni più amabili ruoli di contorno accorpati nelle belle voci di Cyril Auvity, Judith van Wanroij e Marie-Claude Chappuis, nonché – ça va sans dire – nell’eccellente Coro da camera di Namur.