Classic Voice

“UN PERCORSO TUTTO INTERIORE, DOVE GLI INCONTRI SONO CON GROVIGLI PSICOLOGIC­I QUANDO NON PROPRIO PSICOTICI”

- ELVIO GIUDICI

Nella sterminata discografi­a del più famoso tra i cicli liederisti­ci, di gran lunga preminente è la voce baritonale, quando addirittur­a non d’un basso (torreggian­o, tra quest’ultime, le due versioni di Hans Hotter): ma non è male ricordare che Schubert l’ha notata in chiave di tenore, quella della sua stessa voce. Poche, le incisioni tenorili: accanto al loro vertice raggiunto dalla coppia Peter Schreier-Sviatoslav Richter, personalme­nte riascolto spesso la voce tanto brutta ma tantissimo espressiva di Peter Pears accompagna­ta sovranamen­te da Benjamin Britten. Tutte, comunque, incisioni col pianoforte. Fu Andreas Staier, grande fortepiani­sta, che accompagna­ndo la voce filiforme del tenore Christoph Prégardien fece scoprire vent’anni fa quante possibilit­à espressive potessero emergere da un approccio radicalmen­te diverso. Padmore aveva già inciso la Winterreis­e – sempre per la Harmonia Mundi – col gran coda di Paul Lewis: bella interpreta­zione, quantunque un filo generica nel suo programmat­ico escludere ogni vibrato per accentuare il senso di desolata fissità tragica. Tutt’altra cosa qui. La scolpitura di dizione s’è fatta ancora più accentuata nell’incisività con cui Padmore fa schioccare le consonanti, così come il timbro pare ancor più chiaro (sempre evidente, specie in area anglosasso­ne, quando una voce si forma cantando nel coro delle chiese): ma - in spettacolo­sa simbiosi col fortepiano, allo stesso tempo causa ed effetto - la gamma coloristic­a è tutta un chiaroscur­o d’infinite ma mai troppo sottolinea­te nuance, che rendono a meraviglia il più autentico significat­o espressivo del ciclo. Quello cioè d’un viaggio non nella natura desolata da descrivere nei suoi paesaggi e nei suoi oggetti reali o fantastici, bensì d’un percorso tutto interiore, dove gli incontri sono con grovigli psicologic­i quando non proprio psicotici, avvitando una tensione di tanto più avvinghian­te in quanto creata molto più col sussurro che col declamato d’effetto. Così, il tiglio sprigiona un profumo da droga allucinoge­na; la cornacchia sembra guardarti col diabolico occhio del corvo di Poe; il cartello indicatore non indica nulla perché siamo nel nulla; i fuochi fatui sono lampi ghiacciati d’alienazion­e; il conclusivo Leiermann è una marcia funebre dove la così vulnerabil­e fragilità della mente si spezza, voce e fortepiano facendo risuonare il tremendo “dreh’n?” finale in un vuoto nient’affatto cosmico bensì privato, raggrumato entro una psiche distrutta. Grande interpreta­zione.

SCHUBERT WINTERREIS­E

Mark Padmore TENORE Kristian Bezuidenho­ut

PIANISTA

Harmonia Mundi HMU907404 CD 20,20

PREZZO

★★★★★

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