PIAZZOLLA
Leticia Moreno VIOLINO
Andrés OrozcoEstrada
DIRETTORE
London Philharmonic
ENSEMBLE
Orchestra
CD Deutsche Grammophon 157501
18,60
PREZZO
★★★
Si fa presto a dire Piazzolla. Ma farlo suonare? Leticia Moreno, violinista occhi neri e labbra rosse (c’è ormai solista che non possa stare su una copertina di Vogue?), compie di sicuro un gesto d’amore verso Piazzolla e di possesso della sua musica, anche se lei è di Madrid e non di Buenos Aires, vera maestra di Astor insieme a Nadia Boulanger e Alberto Ginastera, come diceva Astor. Ma a ogni passo affio-
ra il dubbio che un glissando del violino valga un cromatismo del bandoneon, che il pensiero triste di Piazzolla riesca a raccontare, addolorarsi, inorgoglirsi con un respiro che non sia quello della fisarmonica esportata in Argentina dai marinai tedeschi, rara cosa non latina, oltre ai nazisti in fuga, sbarcata nell’unica regione italiana, come dice Barenboim, in cui si parla spagnolo. Questa non scambiabilità aleggia soprattutto nelle
Cuatro estaciones porteñas,
che pure guardano alla più grande celebrazione del violino mai scritta nella storia (e nel tango non sono mancati i virtuosi dell’arco). L’arrangiamento, di Leonid Desyatnikov, è anche a misura di un’orchestra che non fa esplodere la versione originale (o almeno quella che conosciamo e apprezziamo di più, per quintetto), e la direzione dell’ottimo OrozcoEstrada ha lo scatto e il senso della misura che lo spirito del pezzo non fa mistero di chiedere.
Leticia Moreno ha sangue e tecnica, la lingua di Piazzolla non è per lei un week-end fuori porta, ma il richiamo del bandoneon è irresistibile, e infatti non può sopprimerlo nel Concierto para Quinteto, Adiós Nonino, La muerte del Angel e la Milonga del Angel; ci pensa Pablo Mainetti a farlo soffiare di nostalgia. Lei “raddoppia” e incalza. L’album è insomma a due cialde: la prima, con le Quattro Stagioni, è la violinisticoorchestrale; la seconda, con i brani del Quintetto storico di Piazzolla, la più “verdadera”. Due facce che riflettono il destino di Piazzolla: odiato dai tangueros perché rendeva il tango indanzabile, amato dai musicisti del mondo proprio perché trasformava una danza in astrazione. Il violino che si appropria del bandoneon è un gesto che dovremmo, noi del Vecchio Mondo, apprezzare di più perché
contemporaneo. E invece ci scappa di preferire la filologia e schierarci fra i conservatori. Senza nulla eccepire, invece, nel protagonismo del violino in Le Grand Tango:
era dedicato al violoncello di Rostropovic, dunque pronto per un gioco strumentale in famiglia.