MEYERBEER
OPERE SACRE SOPRANO Andrea Chudak ORGANO E PIANOFORTE
Jakub Sawick
ORCHESTRA Neue Preussische Philharmonie DIRETTORE Dario Salvi CD Naxos 8.573907 ★★★★
Allevato nel clima illuministico dell’ebraismo berlinese “riformato”, Meyerbeer non si fece mai battezzare a differenza dei correligionari Mendelssohn, Heine e Mahler, anzi continuò a frequentare la Sinagoga; tuttavia, a somiglianza di Felix, si dedicò a musicare con sereno ecumenismo ante litteram testi afferenti all’Antico e Nuovo Testamento, fra cui Salmi in tedesco e un Pater noster in latino. Più addirittura, stavolta in francese, un poemetto di Corneille tratto dall’Imitazione di Cristo, capolavoro della spiritualità monastica tardomedievale. Il repertorio qui registrato, perlopiù in prima mondiale
e sempre nell’arrangiamento di Dario Salvi per soprano, tastiere e orchestra d’archi, abbraccia circa mezzo secolo dal 1807 al 1863, includendo inni ad uso di privata devozione, due frammenti dell’oratorio biblico Jephtas Gelübde, una quasi aria da concerto da Gott und die Natur (altro giovanile oratorio di ispirazione fra il panteistico e il massonico). Inevitabile l’evoluzione stilistica: da echi mozartiani, a spunti – manco a dirlo – di grand opéra francese e di cabaletta italiana, a un liederismo post-romantico i cui esiti paiono rimandare all’ultimo Schumann e magari a Brahms. Con timbro da lirico leggero capace di affondi in un solido registro medio-basso ma non sempre esente da sforzo negli acuti in fortissimo, il soprano Andrea Chudak affronta climi stilistici tanto eterogenei, mettendo a frutto le lezioni assorbite da Elisabeth Schwarzkopf e Peter Schreier nonché l’esperienza acquisita in alcuni dei maggiori teatri tedeschi. La Neue Preussische Philharmonie, ben complementata da Jakub Sawicki al pianoforte e all’organo della Andreaskirche di Berlino-Wannsee, l’accompagna con sonorità rotonda, attenta cura dell’articolazione e occasionali tocchi di enfasi romantica piacevolmente inattesi sotto la bacchetta di un oriundo bresciano quale il maestro Salvi, di antica formazione jazzistica e poi attivo a lungo nell’operetta. Effetti di un’inculturazione fin troppo riuscita; ma – scherzi a parte – disco assai godibile nell’insieme per varietà e alto tasso di sorprese.