Passepartout
DI SANDRO CAPPELLETTO
di Sandro Cappelletto
Lo scorso 15 giugno, per me veneziano, il momento più emozionate è stato ascoltare gli archi del Teatro La Fenice suonare Le Stagioni in campo Bandiera e Moro, lì dove Vivaldi è nato. Era esaltante pensare che nello stesso istante i fiati dell’Opera di Roma, affacciandosi dai piani alti delle torri di Tor Bella Monaca, facevano risuonare nello spazio la marcia trionfale da Aida. Notte trasfigurata di Schoenberg è stata scelta dalla Scala ed eseguita nei piazzali dei principali ospedali milanesi. Ha vinto la volontà di essere presenti: Metamorfosi di Strauss interpretata da elementi del San Carlo a Scampia, il Lamento d’Arianna sotto la casa di Giulietta a Verona, l’ Ottetto di Schubert in Piazza dell’Unità a Trieste, la Gran partita di Mozart che l’orchestra del Massimo ha voluto suonare allo Zen di Palermo, Bari vecchia invasa dai complessi del Petruzzelli, attenti a rispettare la distanza di sicurezza e magnifici nel mantenere l’intonazione nonostante le difficili condizioni. E i Madrigali di Gesualdo esaltati, a Cagliari, dal rincorrersi delle voci nelle alte vie del quartiere di Castello. Non si poteva passeggiare lungo i portici di Bologna senza ascoltare un quartettino, un’aria, una cavatina, un Péché de vieillesse di Rossini, quasi un omaggio
“L’agile fantasia, la saggia intemperanza non abitano nelle Fondazioni liriche”
sotto la casa dove per qualche anno ha abitato. E il Coro dei prigionieri dal primo atto di Fidelio in Piazza Maggiore! Sembrava di sentirla in faccia l’aria fresca evocata da quelle parole e da quella musica. Insuperabile la sensibilità delle scelte del Carlo Felice e del Maggio Musicale: a Genova, una creazione coreografica su musica di Arvo Pärt danzata e suonata sul nuovo ponte ideato da Renzo Piano; a Firenze, il sovrintendente Pereira si è confermato attento come nessuno alla dimensione civile che un teatro d’opera oggi deve avere riservando, a ingresso gratuito, i primi concerti diretti da Zubin Mehta ai lavoratori che hanno permesso alle nostre città di resistere in questi mesi: con medici, infermieri, personale delle autoambulanze, i netturbini, i trasportatori, i dipendenti dei supermercati, i ragazzi senza tutele del delivery. Cento alla volta, disciplinati nel rispettare le code previste per l’entrata e l’uscita, grati di questo segnale di rispetto e di riconoscenza. Comprensibile il silenzio del Regio di Torino, bastonato dalle recenti notizie di indagini giudiziarie e dall’emergere di debiti nascosti per troppi anni sotto il tappeto.
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In un articolo per la “Los Angeles Review of Books”, lo studioso di sistemi politici Jodi Dean ha definito questi e i prossimi anni come “l’era del neofeudalesimo”: alcune fortezze sociali protette all’interno delle vecchie mura cittadine mentre all’esterno, in hinterland sempre più vasti e miserabili, preme la maggioranza degli esclusi. Il comportamento - l’assenza - delle nostre fondazioni liriche il giorno stabilito per il nuovo, e difficile, inizio della possibilità di riprendere a fare musica conferma la loro pesantezza gestionale, la rigidità delle regole contrattuali, la scarsa responsabilità sociale. L’agile fantasia, la saggia intemperanza non abitano lì. Da tempo.