Il fiuto di Noseda per Strauss e i suoi concerti per papà Franz
Gianandrea Noseda, direttore artistico di Stresa Festival, è tra i pochi italiani che hanno familiarità con l’orchestra straussiana. Anche per questo è stato scelto come direttore musicale all’Opera di Zurigo
“Quand’ero giovane - confessa Gianandrea Noseda, che nel disco allegato alla rivista dirige il Secondo Concerto per corno di Richard Strauss - Strauss mi spaventava perché ha un modo di scrivere complesso, con tante linee musicali che procedono parallelamente. Però, nonostante questo timore reverenziale, l’ho affrontato da subito, dai primi lavori fino alle composizioni più tarde, come le scene orchestrali di Intermezzo e Capriccio, i Vier letzte Lieder. Salome, per ora, è l’unica opera che ho diretto”, durante il Festival Strauss di Torino del 2018, una delle ultime grandi rassegne del Teatro Regio, prima delle crisi istituzionali (e di bilancio). Noseda non è solo uno dei direttori italiani più presenti a livello internazionale, ma è anche uno dei pochi a essersi guadagnato negli anni una reputazione di grande interprete al di fuori del repertorio operistico. Dopo la parentesi da direttore ospite principale al Mariinskij, dove l’aveva voluto il suo maestro Valery Gergiev, e gli anni al Regio di Torino, l’opera tornerà comunque al centro del suo mondo dall’anno prossimo, quando assumerà l’incarico di direttore musicale dell’Opera di Zurigo. Intanto si divide tra Washington, dove guida la National Symphony Orchestra, e Londra, senza abbandonare il Festival di Stresa, di cui è direttore artistico ormai da un ventennio. Strauss, si diceva, un compositore che ha accompagnato la sua parabola sin dagli esordi: “Sono partito dai poemi sinfonici come Don Juan, Till Eulenspiegel o Don Quixote, che per me è uno dei suoi lavori tecnicamente più ardui”.
In genere per un direttore italiano sembra più facile affermarsi a livello internazionale nel repertorio operistico anziché nel sinfonico. Lei è tra le poche eccezioni.
“Il mio repertorio d’elezione è stato quello sinfonico, sono arrivato all’opera solo in un secondo momento, quando ho iniziato a lavorare al Mariinskij”.
C’è ancora una differenza qualitativa sostanziale tra or
chestre italiane e straniere?
“Non più, il gap s’è notevolmente ristretto negli ultimi anni. Adesso le orchestre italiane di riferimento possono competere con le migliori al mondo, la differenza è storica, nel senso che le grandi orchestre estere hanno tradizione più consolidata”.
Intanto a Torino è scoppiata la bufera intorno all’ex sovrintendente Graziosi.
“Preferisco non entrare nel merito. Il Teatro Regio è stato un capitolo fondamentale nella mia carriera. Sono stati anni molto belli, ma non solo per merito mio, sia chiaro. C’era la volontà di condividere un progetto da parte di tutti, ci siamo resi conto che potevamo raggiungere un livello alto e questo acuisce il senso di tristezza nel vedere quello che sta succedendo in questi mesi”.
Però che i rapporti tra teatri e agenzie possano essere torbidi è risaputo.
“Quando organizzavo la programmazione del Regio, ho sempre guardato all’artista che mi interessava. Un direttore artistico con le idee chiare può lavorare benissimo senza scendere a compromessi, certo bisogna conoscere gli artisti e scovare i giovani di talento”.
E un bravo direttore invece chi è?
“Chi ha la capacità di motivazione necessaria per ricercare il più alto livello, individuale e di gruppo. E poi deve avere fantasia e visione interpretativa, la capacità di leggere il sub-testo, ciò che si nasconde dietro le note”.
Al Festival di Stresa come avete affrontato la crisi sanitaria?
“Abbiamo dovuto riformare e ridurre il programma. Le orchestre non possono superare un certo numero di elementi, quindi non abbiamo potuto fare esattamente il festival che avremmo voluto, però, al netto delle limitazioni, avremo tre orchestre e dedicheremo un’attenzione particolare a Beethoven, affidando le sonate per pianoforte a diversi musicisti”.