DESTOUCHES
ISSÉ, PASTORALE HÉROÏQUE
J. Van Wanroij, M. SOLISTI Vidal, C. Santon-Jeffery, T. Dollié, E. Lefebvre e altri Les Surprisescoro ENSEMBLE Chantres du Cmbv al cembalo LouisNoël DIRETTORE Bestion de Camboulas 2 Ambronay AMY053 CD ★★★★
Dopo alcune false partenze come missionario in Siam e poi moschettiere di Luigi XIV, André Cardinal Destouches (16721749) trovò la sua strada a 25 anni debuttando come operista davanti allo stesso Re Sole, la cui positiva reazione gli aprì una luminosa carriera nella burocrazia musicale di corte. Questa “pastorale eroica” ambientata nel giardino delle Esperidi, variamente rimaneggiata anche dopo la morte del compositore, resse sulle scene pubbliche e private di Francia per la durata di cent’anni esatti. La sua ultima replica ebbe infatti luogo al Petit Trianon di Versailles il 17 dicembre 1797, a rivoluzione ormai in fase calante quando già da un lustro le teste di Luigi XVI e Maria Antonietta erano cadute sotto la ghigliottina e all’orizzonte spuntava l’astro di Napoleone. Di tanto spettacolare successo è difficile comprendere la causa alla luce del libretto. A tanto non paiono sufficienti né i sonanti alessandrini di Antoine Houdar de La Motte né la sua drammaturgia che dilata alla misura di un prologo e 3 atti, in seguito portati a 5, lo spunto incidentale fornito da un verso ovidiano (uno dei tanti amorazzi di Apollo in Metamorfosi XV/124). Daremo allora tutto il merito alla musica? Il mercuriale maestro Bestion de Camboulas fa di tutto per indurci a tale conclusione, ben secondato dall’ensemble Les Surprises e da un cast di solisti che allinea alcuni fra i nomi emergenti nel canto alla francese: Judith Van Wanroij, Mathias Vidal, Eugénie Lefebvre, Chantal Santon-Jeffery. Più che le temibili pompe un poco parruccone degli epigoni di Lully, rifulge qui lo stile nervoso di un allievo del grande André Campra. O magari di un precursore di Rameau, visto che la versione incisa quasi integralmente è quella edita a stampa nel 1724. Manca dall’indice una scena per Apollo al principio del terz’atto; sono scorciate più o meno drasticamente le feste corali e coreutiche al termine degli atti II e III, ma soprattutto quelle del finale ultimo, popolato di Europei, Cinesi e Americani danzanti secondo lo stilizzato immaginario esotico in voga nella Parigi del tempo. La generale tendenza alla concisione, gradita e forse indispensabile a un uditorio moderno, fa a pugni con gli equilibri interni della partitura, e ciò sarà percepito come peccato mortale dai cosiddetti “integralisti”. Poco o nulla lasciano invece a desiderare le prestazioni del coro allevato presso il Centre de Musique Baroque versagliese, e ancor meno quelle dei già citati solisti. Sul quale svetta Judith Van Wanroij nel ruolo del titolo, ossia la vergine Issé sedotta da un
Apollo travestito da pastore: soprano eccellente nel canto ornato come nella declamazione e nei monologhi colmi di sottintesi stranianti. Arcadia cortigiana sì, ma non priva di autoironia nel clima dell’incipiente illuminismo.