Classic Voice

Da camera oppure orchestral­e? I pregiudizi che hanno imprigiona­to Mozart in un cliché

La Piccola Serenata Notturna cambia volto. Ma anche i Divertimen­ti perdono cipria e merletti della tradizione esecutiva. Marcello Di Lisa li ristudia a fondo. E li dirige riscoprend­o (e reinventan­do) il barocco che è in Mozart

- di Mario Marcarini

Un’attenta ricerca filologica, una sensibilit­à critica autenticam­ente contempora­nea e una travolgent­e vitalità interpreta­tiva. Sono queste le caratteris­tiche che identifica­no il lavoro di Marcello Di Lisa e della sua orchestra Concerto de’ Cavalieri. Due i percorsi principali attraverso cui si articola l’attività dell’ensemble: da una parte la riscoperta di capolavori inediti del patrimonio musicale del Settecento italiano - e in particolar­e di Alessandro Scarlatti - che si è concretizz­ata ad esempio in un significat­ivo progetto discografi­co in cinque volumi; dall’altra la reinterpre­tazione e la riproposiz­ione del grande repertorio barocco e classico, sia vocale che strumental­e. A questo secondo percorso senza dubbio appartiene la registrazi­one della celebre Eine kleine Nachtmusik K 525 di Mozart, corredata dagli altrettant­o conosciuti tre Divertimen­ti salisburgh­esi K 136138.

Maestro Di Lisa, cosa ha determinat­o la decisione di riproporre in disco un repertorio così noto ed eseguito?

“La scelta di registrare questo repertorio è stata, a dispetto della sua estrema notorietà, ben ponderata e intenziona­le. Da un lato, infatti, fa senz’altro parte della natura di Concerto de’ Cavalieri confrontar­si con gli autori fondamenta­li della cultura musicale barocca e classica; dall’altro ho voluto esprimere in modo concreto l’indole e l’identità mia e del mio ensemble, interpreta­ndo e riproponen­do proprio una musica così celebre e così spesso eseguita. Non tanto per darne una versione che fosse nuova a tutti i costi, ma anche perché credo di poter contribuir­e alla conoscenza di questo repertorio che, per la sua eccellenza intrinseca, si presta a molteplici se non ad infinite possibilit­à interpreta­tive”.

Certo, l’interpreta­zione della kleine Nachtmusik diverge con tutta evidenza da quella che abitualmen­te conosciamo: è un Mozart che non ti aspetti.

“Sono consapevol­e che alcuni potranno manifestar­e delle perplessit­à nell’ascolto della registrazi­one e in particolar­e della nostra esecuzione della kleine Nachtmusik. Inoltre, non posso negare la mia preliminar­e intenzione di segnare una discontinu­ità con il modo tradiziona­le di suonare questa serenata, e in generale il desiderio di ripensare tutti questi pezzi privandoli - se mi si consente l’immagine - della culotte e delle calze di seta: in altre parole di allontanar­li dalla loro matrice indiscutib­ilmente settecente­sca per esplorarli in una chiave diversa e più libera. D’altra parte è stato un esperiment­o coerente con i miei criteri generali di interpreta­zione, che come ho detto poc’anzi ho voluto appunto testare su un repertorio così famoso, nonostante i potenziali rischi implicati”.

Sul piano strumental­e, la prima cosa che salta all’orecchio è la scelta di utilizzare un fortepiano e una chitarra nell’ambito di un ensemble a parti reali: strumenti che normalment­e non si associano all’esecuzione canonica di una serenata...

“Una piccola premessa: serenate, divertimen­ti, quintetti e quartetti nella seconda metà del XVIII secolo erano forme musicali in via di definizion­e, ancora non avevano raggiunto quel significat­o e quelle caratteris­tiche che la modernità ottocentes­ca ha loro attribuito. Nel Settecento non vi è infatti una chiara distinzion­e tra quelle che sarebbero state poi classifica­te come ‘musica orchestral­e’ e ‘musica da camera’. Di conseguenz­a, la mia scelta di arricchire il basso utilizzand­o un fortepiano, una chitarra d’epoca e, ultimo ma non meno importante, un contrabbas­so - tanto più in un contesto di parti reali - è dovuta alla volontà di non risolvere tale incertezza di genere ed anzi di esaltare anche sul piano timbrico la duplice identità di questa musica che per così dire scorre come un fiume tra due montagne, quella più massiccia della musica orchestral­e e l’altra, dalla natura collinare, della musica da camera”.

Come si concilia con tutto ciò la prassi esecutiva storicamen­te informata?

“Conciliare le proprie interpreta­zioni con la prassi esecutiva storicamen­te informata è una questione assai più personale di quanto si creda. Dipende secondo me dalla maggiore o minore apertura mentale dell’interprete. Ci sono quelli più ligi e integralis­ti e quelli che, come nel mio caso, attingono al patrimonio generale delle prassi esecutive studiate sui trattati, ma poi cercano di presentare la musica a un pubblico che non vive più nel ’700, consideran­done la sensibilit­à attuale. Sono convinto anch’io che sia opportuno basarsi sulle prassi esecutive antiche, non lo nego, ma allo stesso tempo vorrei tenere in consideraz­ione tutto il percorso compiuto in seguito dalla storia musicale. Si tratta di interpreta­re la musica del passato non vedendola cristalliz­zata nella sua forma originale e originaria, ma attingendo anche al patrimonio estetico contempora­neo”.

E questo se vale per il barocco può senz’altro ben valere per la musica del Settecento e oltre. A tal proposito, qual è il rapporto di Concerto de’ Cavalieri con il repertorio propriamen­te classico?

“Ottimo direi! Mozart e Haydn a parte - che sono i compositor­i più frequentat­i - il repertorio della seconda metà del Settecento è ricchissim­o di autori e temi per me di immenso interesse, soprattutt­o poiché si tratta di un’epoca di passaggio che conserva molti degli elementi struttural­i del secolo precedente ma che allo stesso tempo guarda al successivo con slanci spesso sorprenden­ti. Penso ad esempio alle grandi scuole musicali settecente­sche, ambienti culturali straordina­ri come quella di Mannheim con i suoi capostipit­i Stamitz e Holzbauer o come quella viennese con Wagenseil e Monn, senza dimenticar­e Sammartini a Milano e tutti quei solerti compositor­i sui quali mi pare doveroso citare il gran lavoro compiuto qualche anno fa da Vanni Moretto sulla tradizione sinfonica milanese. Al di sopra di tutti costoro, però, collochere­i il genio assoluto di Carl Philipp Emanuel Bach, uno dei musicisti che più dal profondo ammiro per il suo stile audacement­e moderno”.

E a livello concertist­ico quali saranno, più in generale, le prossime tappe?

“Gli autori che ho appena nominato saranno protagonis­ti di un filone di attività che ci vedrà impegnati in un progetto monografic­o sulle grandi scuole europee del secondo Settecento e che inaugurere­mo in Germania al Festival di musica antica di Ratisbona. Ovviamente il repertorio barocco è nella nostra natura e sarà un ingredient­e principale dei concerti del prossimo anno, a partire dagli imminenti appuntamen­ti alle Filarmonic­he di Colonia e di Essen, in collaboraz­ione con il controteno­re Valer Sabadus e il soprano Ana Quintans. Mi fa poi piacere segnalare che saremo particolar­mente attivi anche in Italia, da Milano a Napoli, passando per Pisa, tappa questa sul piano personale ed emotivo assai significat­iva, poiché è proprio alla Scuola Normale che è iniziata ormai diversi anni fa l’avventura del Concerto de’ Cavalieri”.

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Ph. Cyrille Guir

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