Non chiamatele “prime parti”. In orchestra non ci sono più i solisti di una volta. Ora sono star
Gregari o star? Il confine è sempre più sottile nelle carriere delle prime parti. Protagonisti dentro e fuori l’orchestra. Al punto da oscurare anche i direttori
Che il ruolo della prima parte preveda onori, ma soprattutto oneri, lo sapeva benissimo Alessandro Rolla, primo violino dell’Orchestra della Scala, al quale non fu perdonata la sua eccezionale bravura anche nei panni di violista solista. Il temporaneo divieto di suonare in pubblico la viola, come riparta l’Abate Giuseppe Bertini nel suo Dizionario di Musica e dei Musicisti del 1814, si dovette allo scrupolo di evitare il “deliquio e la crisi di nervi” alle donne nel pubblico. Mutati i tempi, resta invariato il ruolo sensibile di chi siede in primo leggio, soprattutto se in veste di Konzertmeister. Lo sa bene Laura Marzadori, che nel 2015, a 26 anni non compiuti, diventò la seconda donna a ricoprire il ruolo di spalla al Teatro alla Scala. Molti non le hanno perdonato una recente gaffe televisiva in cui, tradita dall’emozione, esegue un tema di Aida credendolo della Traviata (senza essere peraltro corretta né dal conduttore né dagli ospiti). Episodio subito emendato in grande stile e con autoironia (“almeno non ho suonato Mozart”, il suo commento) e ovviamente consumato quasi per intero sui social network, dove Marzadori ha poi ricevuto anche la benedizione di Dominique Meyer. Il “caso” Marzadori è solo la punta dell’iceberg di un dibattito musicale che ormai coinvolge sempre meno i direttori e sempre più le nuove star delle orchestre. È come se il modello Abbado praticato dal 2004 con l’Orchestra Mozart - e prima ancora con la Mahler Chamber Orchestra avesse attecchito e prodotto frutti maturi: non più il modello di uno-contro-tutti, il direttore e la massa di musicisti gregari pronti a rispondere ai suoi comandi, ma uno-con-tutti, dove il concertatore si confronta e dialoga con i suoi pari, finendo spesso per essere da loro oscurato. Inevitabile che alla fine, passando per l’esperienza delle orchestre che suonano anche senza direttore, si sia arrivati alla maturazione completa
del fenomeno, anche mediatico, della figura della prima parte, meglio ancora se giovane, perché il talento, raggiunti quei traguardi, si dà per assodato. È il caso recente del nuovo primo violino dell’Orchestra di Santa Cecilia, il ventiseienne Andrea Obiso, talento precocissimo (a 14 anni era già diplomato), scelto tra ottanta candidati che ambivano a sedersi alla sinistra di Antonio Pappano. Forse ci vorrà ancora tempo per vederlo ingaggiare le stesse battaglie sindacali del suo collega milanese Danilo Rossi, prima viola della Scala, ma la strada che il ruolo e i tempi hanno conferito a questa posizione sembra già tracciata. Rossi, che in sala Piermarini suona da 35 anni, in novembre ha raccolto le rimostranze di molti colleghi e le ha condensate in un’appassionata lettera al “Corriere della Sera”, nella quale sottolinea “come durante il lockdown, la Scala sia stata immobile mentre tutti provavano”. “Sono senza parole!”, ha tuonato, quasi come avrebbe fatto un abbonato deluso, mentre parlava invece da prima viola dell’Orchestra teatrale più importante d’Italia. Chissà cosa avrebbe detto Rolla sentendo queste parole: “Manca la volontà di rilanciare, di lavorare - l’attacco della prima viola solista - E nessu
no dice nulla! Poi ti fanno un bel concertone il 7 dicembre così tutti siamo felici per poi richiudere ancora tutto”. Se i loggionisti hanno apprezzato la coraggiosa uscita di Rossi, meno consenso è stato riscontrato ai piani alti, sia sul fronte dei sindacati (la Cgil ha giudicato giudicano “personalistica” la posizione di Rossi) sia su quello della direzione, che ha fatto giungere al professore d’orchestra una lettera di richiamo. Il dado, comunque, è stato tratto. Se la pandemia ha avuto un ruolo nel ritagliare sempre di più una certa autonomia artistica e intellettuale dei professori d’orchestra, questo lo si deve in buona parte anche alla nuova ribalta digitale, che da capriccio privato è diventato palcoscenico necessario per poter affermare la propria esistenza (con tutte le eccezioni del caso). Il concerto live da casa non è più prerogativa dei grandi solisti, insomma, ma ormai ha contagiato anche chi lavora in orchestra. Un po’ per passatempo, un po’ per ricordare che là fuori esiste ancora un teatro. Chiedere, per conferma, al primo clarinetto dei Berliner Philharmoniker, Andreas Ottensamer, che su Instagram raduna da solo un sesto di follower della compagine tedesca, più o meno gli stessi numeri mossi dai suoi colleghi Sarah Willis, primo corno, ed Emmanuel Pahud, primo flauto. Lo streaming personalizzato e autoprodotto, irrorato quotidianamente di foto domestiche, in vacanza o con prole felina, somiglia sempre più alla gestione dei social network delle icone pop. Un mondo in cui le istituzioni faticano a stare al passo, nel quale sempre più spesso la distanza di registro comunicativo diventa quasi involontariamente comica. Questo dato di fatto non è stato ancora accompagnato da un’incremento proporzionale di visibilità nel mondo dei direttori. Tolte le fisiologiche eccezioni, come dagli “ultrasocial” Lorenzo Viotti a Yannick Nezet Seguin, le bacchette degli ultimi anni hanno quasi sempre preferito ritirarsi dal dibattito digitale. Chi con atteggiamenti radicali, come quello di Kirill Petren
ko che oltre a non rilasciare interviste si tiene a rigorosa distanza da tutte le piattaforme, chi con approcci prudenti, come Daniel Harding che usa Instagram in modalità privata, “pagando” questa ritrosia con soli 1.450 follower. Per intendersi, Laura Marzadori ne ha, da sola, 110.000, quasi la metà della Scala. Purtroppo, però, isolarsi dai social ha come conseguenza quella di isolarsi anche dal dibattito pubblico. Di questo passo, insomma, i “volti” delle orchestre diventeranno sempre più quelli delle prime parti, veri nuovi “influencer” di oggi, non solo in quanto icone, ma anche perché sempre più coinvolti in progetti discografici. Se nel 1983 la clarinettista
Sabine Meyer, voluta da Karajan, provocò un terremoto diplomatico nei rapporti tra il direttore e i Berliner, oggi la cornista Sarah Willis incide il disco “Mozart y Mambo” girando il relativo videoclip per le strade de l’Avana. Da silenti gregari ad ambasciatori di messaggi extra-musicali, il mondo di domani dovrà familiarizzare sempre più con i nuovi primi inter pares, quasi più solisti degli stessi solisti, soprattutto quando vengono chiamati a rimpolpare vere e proprie nazionali “all star”, come la Fil, l’ultima creatura orchestrale apparsa a Milano, in cui prime parti e giovani leve condividono il leggio. Nasceranno anche qui nuovi opinion leader?