EN SOURDINE
BARITONO Laurent Naouri CHITARRA Frédéric Loiseau CD Alpha Classics 628 ★★★★★
Nella musica vocale da camera, testo e musica debbono integrarsi perfettamente: da qui il problema posto dalle diverse fonti linguistiche, che comportano diversi livelli di sonorità e ritmo interno lessicale.
Dal momento che - qualunque sia la lingua - l’emissione poggia essenzialmente sulle vocali, il problema posto dalla lingua francese è abbastanza spinoso giacché in essa i suoni vocalici sono quindici (più tre “vocali miste”), comprensivi di ben quattro differenti suoni nasali, temutissimi per il consistente rischio del “canto di naso”, sgradevole sempre ed espressivo mai. E come amava dire Lilli Lehmann, “non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza dello studio e della valorizzazione dei suoni nasali”, ovvero del giusto grado di risonanza nasale da conferire a certe vocali, da rendere diversa a seconda della consonante subito seguente onde riuscire, ad esempio, a differenziare tra loro “a” e “en”. Senza contare il problema tipicamente francese della liaison (con le relative regole molto particolari, che possono renderla obbligatoria, escluderla, considerarla facoltativa), ovvero del pronunciare l’ultima consonante di una parola legandola alla vocale con cui principia la successiva che, isolatamente, sarebbe muta: cosa che com’è ovvio impone alla frase un ritmo interno obbligato. Infine, va sempre tenuto presente che, a differenza delle lingue italiana e tedesca dove l’accento tonico è molto marcato, in quella francese è senza confronto più lasco: cosa che, come puntualizzava Darius Milhaud, “apre la strada alla massima libertà per il compositore ma anche per il suo interprete”.
Lungo preambolo. Ma continuavo a rifletterci ascoltando questo recital-capolavoro. Laurent Naouri ha timbro molto bello, emissione perfetta, musicalità strumentale: tutte cose ragguardevoli, ma tutte rese strumento d’un artista tra i più personali e stimolanti del panorama vocale recente. Il suo superlativo senso della parola, sostenuto da dizione spettacolosa e da musicalità assoluta, gli consente un’operazione parecchio ardita in sede filologica, ma eccitantissima in quella espressiva (che poi è quella che soprattutto vale, almeno per me): rendere il salon musicale di Fauré, Debussy, Poulenc quasi l’anticamera dell’alcova; una sorta di colloquio intimo all’insegna dell’extase langoureuse alitata sul filo del sussurro più seducente, insinuante, voluttuosamente nonchalant, e con l’accompagnamento non del pianoforte bensì d’una chitarra e
“Colloquio intimo all’insegna dell’extase langoureuse alitata sul filo del sussurro”
quindi rispetto scrupoloso della linea melodica ma totale libertà per quanto concerne ritmo e armonia.
Les Berceaux, per dire, l’ha cantata anche Yves Montand (la si può ascoltare ancora, su YouTube), ma qui è tutt’altra cosa. E il bello è che lo chansonnier Montand cerca toni molto maschi, sì, ma piuttosto seriosi, direi persino “impegnati”, laddove Naouri si guarda bene dallo scadere a “leggero confidenziale”, però - con un’agogica assai più rilassata - la voce, adagiata sul fascinoso cuscino armonico di sonorità al tempo stesso forti e vellutate della chitarra, trova un’intimità voluttuosa, un ventaglio di dolcezze ai confini con l’erotismo vero e proprio, quali questo brano - ma anche quasi tutti gli altri - non aveva mai conosciuto. Certo, l’obiezione principale - fondata - è che si tratta d’un prodotto di studio, con uso sofisticatissimo del microfono: dal vivo, a meno di non essere in un salotto, e neppure troppo grande, questa sensualità sussurrata, questo canto che sembra parlato ma è sempre canto, avrebbe bisogno d’una proiezione più robusta, e certi effetti singolarissimi sarebbero probabilmente impossibili. Ma perché no? Basta che funzioni, ammoniva Woody Allen.
Le jet d’eau di Debussy, ad esempio: i primi quattro stupendissimi versi di Baudelaire a voce sola, come sospesa su penombra che diresti addirittura profumata di spezie misteriose: e appena svapora il termine plaisir, ti entra la chitarra a raccogliere la voce non per sostenerla ma per dialogare, anzi per fare l’amore con lei. Chanson d’amour di Fauré, che ti fa pensare addirittura a una bossa nova con quella chitarra che fa e disfa un tessuto armonico tutto curvilineo: la voce entra su fonemi in libertà, poi ti incalza parlandoti in teoria di amore, però ricordandoti di continuo che è un amore niente salottiero e tutto camera da letto, svanendo alla fine pian piano in un’ombra dove benissimo s’avverte come le profferte amorose abbiano sortito il loro effetto. Tutto è all’insegna del virtuosismo più difficile, quello che lo scavo più certosino mai lo avverti perché ogni frase, ogni parola, ogni fonema sembrano fluire all’insegna dell’improvvisazione: proprio per questo donando a ogni piega del testo l’inflessione più significativa. Capolavoro, da cima a fondo.