Teatro nelle VOCI
DONIZETTI OPERA FESTIVAL
In questa schifezza di anno, luce ancor più vivida mandano quelle istituzioni che, per dirla in soldoni, si son date una mossa. I grandi meriti dei festival estivi li abbiamo riconosciuti, ma a loro favore giocava il non secondario vantaggio di poter svolgersi all’aperto. Il festival Donizetti di Bergamo (e sappiamo quali immagini evoca anche adesso il solo nominare questa città) era troppo in avanti col calendario, e comunque urgeva presentare finalmente il teatro chiuso da tre anni per un completo restauro funzionale. Ma a Bergamo, come direttore artistico hanno Francesco Micheli: che è un ottimo regista, certo, ma come organizzatore è una vera e propria macchina da guerra.
Cambio al volo della locandina; rinuncia alla seconda sede in Bergamo Alta per l’opera che nel catalogo donizettiano scandisce ogni anno la tappa dei duecent’anni, trasferita al Donizetti dove dunque si allestiscono tre titoli uno dopo l’altro; due dei quali in scena, ma una scena rivoluzionata dalla necessità di far svolgere l’azione nella platea vuota, col direttore che guarda verso di essa avendo davanti a sé gli archi mentre fiati ottoni e percussioni stanno dietro, protetti da plexiglass e il coro ancora più indietro su una pedana, coi suoi membri distanziati tra loro; titoli destinati comunque a una sola recita, senza pubblico ma per lo streaming, quindi da organizzare non frontalmente bensì a 360 gradi per le telecamere. Mettere in piedi un’impresa siffatta non è da tutti, senza contare i problemi aggiuntivi di Domingo rinunciatario per Belisario, quindi il dover rinunciare a una spinta massmediatica di livello internazionale con tutto quanto comporta in termini di ricaduta economica. Non ce l’hanno fatta: strafatta, piuttosto.