LE NOZZE IN VILLA
DIRETTORE Stefano Montanari REGIA Davide Marranchelli
Le nozze in villa è la terza opera di un Donizetti ventiquattrenne, e se ne è saputo poco o nulla fino al paziente lavoro di Edoardo Cavalli e Maria Chiara Bertieri, i quali hanno approntato l’edizione critica lavorando su varie fonti dato che l’autografo è al momento non pervenuto; e grazie anche al valido apporto di Elio, Rocco Tanica ed Enrico Melozzi che hanno rammendato il buco costituito da un Quintetto mancante componendone uno nient’affatto male e in perfetto stile. Qui l’orchestra è il complesso di strumenti antichi Gli Originali, diretta con spirito frizzante ma stilisticamente inappuntabile da Stefano Montanari, che suona anche il cembalo nei recitativi ma pure in taluni passaggi orchestrali. L’impiego degli strumenti originali e del diapason abbassato a 430 si rivela del massimo interesse: non sarebbe male provarli anche in partiture ben posteriori, come ad esempio quel Don Pasquale in cui la presenza esorbitante degli ottoni Bruno Campanella riteneva fosse frutto della cronica fretta di Donizetti che così aveva
già pronta l’imprescindibile riduzione per banda, sicuro che tanto in teatro si sarebbe provveduto a sfoltirli drasticamente (Campanella li sfoltiva, difatti; altri, filologi della domenica, no: e così il tenore si strangola). Comunque sia, il suono è croccante nei suoi profili ritmici asciutti ma mai aridi o gessosi, l’agogica viaggia spedita e il “passo” teatrale è assicurato senza andare a scapito dell’appropriatezza stilistica d’una partitura che a Rossini paga pegno così importante da sfiorare spesso il ricalco, ma dato il modello il risultato è pur sempre gradevole. Merito anche dello spettacolo: in platea, ricoperta da un prato verdissimo e smaccatamente finto, trovano posto pochissimi arredi riferibili a una villa per matrimoni, pacchiana e provincialissima, in cui lavora la fotografa protagonista Sabina, che il padre sindaco Petronio vorrebbe far sposare al maestro locale Trifoglio ma che ovviamente è invaghita del vacanziero borghese Claudio. Tutti mascherinati fino al momento di cantare, tutti distanziati a dovere, tutti spigliatissimi e al servizio d’una teatralità arguta e sanamente ironica, che fa avanzare la vicenda come danzando sulle punte, canto strumentale gestualità in simbiosi perfetta. Gaia Petrone ha una vocina un po’ acerba ma gusto e musicalità ci sono e la tecnica si sta facendo; Giorgio
Misseri è un Claudio di voce bella, ben emessa e governata, fraseggio sapido da vanesio vagheggino; molto bravo il Petronio di Omar Montanari, e bravissimo - il migliore del cast, anzi - Fabio Capitanucci, voce sempre splendida e tecnica esemplare al servizio di fraseggio tutto in punta di forchetta, che scansa il rischio dell’insulsa macchietta per costruire un vero personaggio; analogamente, Manuela Custer è magnifica nello schizzare con consumata perizia teatrale la nonna Anastasia, attraverso un fraseggio sempre spiritoso e mai spiritato.