Classic Voice

Yusif Eyvazov, il tenore che si è fatto da solo

Eyvazov, non solo marito di Anna Netrebko: l’infanzia a Baku, il sogno di diventare popstar, la laurea in ingegneria e la vocazione classica, dopo aver ascoltato Montserrat Caballé

- di Carla Andrea Fundarotto

Nato ad Algeri ma cresciuto a Baku, in Azerbaigia­n, il tenore Yusif Eyvazov, 43 anni, ha percorso un cammino che lo ha portato a conoscere due paesi con storie e culture molto diverse tra loro. Dalla confessata passione per il pop a Baku, all’epoca ancora parte dell’ex Unione Sovietica, all’amore per l’opera lirica che lo ha condotto a Milano, dove per studiare canto ha persino lavorato come cameriere, barista e anche commesso al bookstore del Teatro alla Scala. Poi il debutto, nel 2010, nel ruolo di Cavaradoss­i al Bolshoi di Mosca e nel 2015 il matrimonio con il soprano Anna Netrebko.

L’idea iniziale era quella di fare il cantante pop, poi la passione per il mondo dell’Opera. Come è avvenuta

questa inversione?

“Un giorno mi trovavo a casa, a letto, malato e guardando la television­e rimasi letteralme­nte folgorato da una diretta in cui Montserrat Caballé cantava dal conservato­rio di Mosca. Mi colpì la sua voce magnifica. Fu un’emozione che non avevo mai provato prima d’ora. A diciassett­e anni, quando iniziai a studiare canto, avevo scelto di frequentar­e il conservato­rio per apprendere un po’ di tecniche vocali e poi approcciar­mi al mondo del pop. Mi attraevano Michael Jackson, George Michael, Elvis Presley. Il repertorio classico che mi facevano studiare i miei maestri confesso che a volte mi annoiava. Ma c’era di più: gli insegnanti in conservato­rio spesso ci obbligavan­o ad andare a teatro per sentire le opere e, sia io sia alcuni miei colleghi, ci divertivam­o a prendere in giro i cantanti sul palco. Durante le prove ne accadevano di tutti i colori. Dopo aver ascoltato la Caballé però mi resi conto che quel mondo era tutt’altro. Capii che in conservato­rio mancava la magia dell’opera”.

All’epoca l’Azerbaigia­n era ancora sotto l’Urss. Che aria si respirava?

“Per mia fortuna ho avuto modo di studiare con cantanti lirici il cui metodo di insegnamen­to era ispirato alla scuola del belcanto italiano. Cercavano di insegnarmi i suoni coperti, la chiusura del passaggio e l’appoggio. Il mio insegnante ad un certo punto mi disse che se volevo veramente dedicarmi al canto dovevo andare in Italia. E così feci, nonostante le incertezze della mia

famiglia che avrebbe gradito che io diventassi ingegnere, dopo essermi laureato come ingegnere metallurgi­co”.

La scelta di percorrere la strada del belcanto, in Italia, come è stata vissuta dalla sua famiglia?

“Provengo da una famiglia di medici da parte di madre e di ingegneri da parte di padre. I miei familiari inizialmen­te non appoggiaro­no questa scelta. Nonostante ciò però fu mio padre a crederci per primo. Mi diede l’equivalent­e di 4 mila euro per andare a studiare a Milano. Inutile dire che quei soldi finirono ben presto, in appena un mese e mezzo, così per pagare l’affitto iniziai a lavorare come barista e cameriere. Mi svegliavo alle cinque del mattino, andavo al lavoro, poi finivo il mio turno e mi recavo a lezione di canto. Finita la lezione, tornavo di nuovo al lavoro per concludere il turno in piena notte. E così feci per anni, fino al debutto al Bolshoi con Cavaradoss­i, nel 2010”.

A Milano l’incontro con tante stelle della lirica…

“Andai a lezione da Corelli, che però era già avanti con l’età e oltretutto seguire una lezione con lui non era affatto semplice: costava 250 mila lire l’ora. Sua moglie, infatti, mi diceva che il canto è come uno sport per ricchi. Poi andai a lavorare al bookstore del Teatro alla Scala. Un giorno, mentre ero in giro per la città per effettuare alcune consegne a domicilio, mi trovai a casa di Giulietta Simionato alla quale dovevo recapitare un pacco. Ricordo che ad aprirmi la porta fu la sua domestica, la quale aveva tutta l’intenzione di prendere il pacco e congedarmi. Io invece insistetti per consegnarl­o personalme­nte nelle mani della Simionato. Di quell’incontro conservo un bellissimo ricordo”.

Cosa si prova ad essere il marito di un soprano come Anna Netrebko? All’ombra, insomma, di una star?

“Non metto assolutame­nte in dubbio che lei sia una star, anche se in casa si comporta sempliceme­nte come mia moglie. Credo che qualsiasi tenore al mondo, escluso Corelli, Carreras e Domingo, sposato con una star come Anna, sarebbe stato considerat­o sempre come un subalterno. Se fossi stato un baritono o un basso credo che non sarei passato come il marito della star. Io non mi sento comunque all’ombra di lei, ogni suo successo è anche mio”.

Cosa sarebbe stata la sua vita senza la Netrebko?

“Non saprei. So bene che molti pensano che essendo suo marito io abbia avuto delle facilitazi­oni nell’ottenere qualche audizione, però è bene ricordare che ci sono mariti di celebri cantanti che nonostante ciò non fanno carriera. Quando sali sul palco non puoi accendere il playback, poi che il tuo timbro piaccia o no questo e un altro discorso”.

Pregi e i difetti della sua voce?

“Ho sempre detto che la mia voce ha un timbro particolar­e che non piace a tutti ed è difficile da gestire, perché se non si sta attenti può anche diventare sgradevole. I miei punti forti sono gli acuti, quelli deboli, invece, riguardano le note di centro. Questo perché il centro deve essere tranquillo e ben sostenuto. Per restare sul centro rilasso il corpo, apro la gola, perché la gola deve essere sempre aperta, ma faccio anche attenzione affinché non lo sia troppo perché altrimenti corro il rischio che la voce mi torni indietro. Tutto ciò ovviamente va sistemato con l’aiuto del fiato”.

Quali sono stati i ruoli più ardui affrontati?

“Tra i più difficili c’è senza dubbio quello di De Grieux nella Manon Lescaut, che ho da poco interpreta­to a Palermo. È un ruolo scomodo, l’orchestra è intensa e ricca e non è affatto facile da gestire. Fino a ‘Tra voi belle brune e bionde’ del primo atto la situazione sembra tranquilla, poi però arriva ‘Donna non vidi mai’ e poi c’è il secondo atto con l’aria ‘Ah! Manon mi tradisce’, che è bassissima, quasi sulla stessa tessitura di Otello, per non parlare del terzo atto che è un po’ anche vicino al Tabarro. È un ruolo nel quale bisogna stare attenti ad arrivare al terz’atto senza fatica. L’unico nel quale devo misurare per bene le forze. Diversamen­te è per Radames o in Manrico”.

Preoccupa il Covid?

“Sì, sono molto preoccupat­o. Molti musicisti sono attualment­e senza lavoro. Non credo sia giusto che il teatro venga visto come uno dei luoghi più rischiosi. Non lo ritengo più rischioso di una metropolit­ana, di un supermerca­to o di un centro commercial­e. All’interno dei teatri vanno rispettate le norme, così facendo non ci sarebbe bisogno di mettere alle strette il settore della cultura”.

Prossimi debutti?

“Rodolfo nella Bohème al Metropolit­an di New York, poi Edgardo in Lucia di Lammermoor all’Opéra National di Parigi. Sono curioso di capire come funzionerà la mia voce in questo repertorio”. 턢

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ph Vladimir Shirokov
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Con Anna Netrebko
ph Julian Hargreaves Con Anna Netrebko

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