Karl Richter, il quinto evangelista
Quando il 15 febbraio del 1981 un attacco di cuore stroncò il cinquantacinquenne Karl Richter in una camera d’albergo di Monaco di Baviera, il mondo che aveva contribuito a costruire e di cui era diventato uno dei protagonisti di punta stava già cambiando. Probabilmente la morte prematura gli risparmiò la delusione di vedere molte delle sue certezze sgretolarsi una dopo l’altra, nel trionfo di quei “puristi modaioli” capitanati da Nikolaus Harnoncourt e Gustav Leonhardt che, parole sue, “avrebbero portato alla confusione”. Eppure ormai la rivoluzione era in atto. Il fiorire degli studi sulla filologia e l’applicazione degli strumenti d’epoca secondo la prassi storicamente informata da un lato, la smitizzazione dei grandi compositori del passato dall’altro (Bach su tutti), stavano minando alle fondamenta la tradizione in cui Richter era cresciuto, una tradizione che sarebbe presto mutata, nella considerazione di molti, in nostalgia reazionaria. Richter infatti non era solo un grande direttore d’orchestra, organista, clavicembalista e insegnante, egli incarnava una figura quasi sacerdotale del musicista inteso come officiante di un culto, quello dell’assoluto in musica, dell’elevazione attraverso di essa oltre i limiti terreni per avvicinare il divino e celebrarlo. Da almeno due secoli nella cultura tedesca certa musica costituiva una colonna portante del luteranesimo evangelico e Bach, le cui composizioni erano divenute parte integrante della liturgia, era di fatto assurto al rango di quinto evangelista. Richter crebbe in un ambiente impregnato di teologia e umanesimo