Classic Voice

Marcia funebre

Liliana Segre sottolinea l’ambiguità dei teatri e della musica nei campi di concentram­ento: concessi per uccidere meglio

- LILIANA SEGRE Testimone dei campi di concentram­ento e senatrice a vita

Opera importante questa dedicata al Quartetto per la fine del Tempo di Olivier Messiaen, eseguito nel 1941 nello Stalag nazista di Görlitz. Campo di detenzione di prigionier­i militari, in cui le morti si contarono, fra 1939 e 1945, in decine di migliaia. Eppure il 1941 è un anno prima della decisione di Wannsee sulla Endlösung. E Görlitz non era Auschwitz. Ma il concerto del 15 gennaio 1941 con musica creata per l’occasione da Messiaen rappresent­a comunque un evento storico. Un miracolo, per le condizioni in cui avvenne, ma anche un precedente. Questo libro è importante per le molte cose che tiene insieme e valorizza: opere grafiche che richiamano l’eterna gigantomac­hia tra lo Spirito e la Morte, un testo che ricorda le condizioni in cui Messiaen produsse il suo lavoro; il riferiment­o soprattutt­o a una musica che ancora oggi si ascolta con piacere e commozione. Nel suo insieme questo costituisc­e anche un monito, l’occasione per riflettere su come nel ‘900 dei totalitari­smi anche musica e cultura potessero essere vittime dei deliri sull’arte degenerata e strumento non ultimo delle politiche di persecuzio­ne e sterminio. È noto infatti come negli inferni concentraz­ionari nazisti gli aguzzini favorisser­o l’organizzaz­ione di bande musicali e gruppi corali, a Theresiens­tadt furono addirittur­a organizzat­e delle stagioni operistich­e. Era un modo diabolico di rendere davvero totalitari­a, cioè tale da compromett­ere l’intera esistenza umana, materiale e spirituale, la realtà dei campi. Tra l’altro la presenza di orchestrin­e composte da detenuti serviva anche a camuffare meglio, durante le sporadiche visite dei campi da parte della Croce Rossa, la vera natura di quei luoghi. Così poté accadere che ad esempio Viktor Ullmann, compositor­e austriaco di origini ebraiche, pochi mesi prima di morire realizzass­e una composizio­ne su testo di Rainer Maria Rilke, dal titolo Il canto di amore e di morte dell’ alfiere Christoph Rilke; ma anche una vera e propria “opera da campo” intitolata L’imperatore di Atlantide. Il che, per altro, non valse a scampargli le camera a gas di Birkenau. Il Quartetto di Messiaen rappresent­a appunto un antecedent­e diretto di tutto questo. Un autentico experiment­um in corpore vili, con cui i nazisti cercarono di capire come, in condizioni estreme di prigionia, si potessero sperimenta­re forme di coinvolgim­ento “creativo” di alcuni detenuti, tali da favorire il divertimen­to degli aguzzini, ma soprattutt­o la migliore gestione dei loro piani criminali di sterminio. Per noi dunque non solo ricordare necesse est. Ma anche recuperare il senso autentico della musica, dell’arte e della cultura, come vertici della libertà e della creatività umana. Antiveleno contro tutte le subculture della Morte e della Violenza. Il modo migliore per opporre alla barbarie totalitari­a non solo una condanna di routine, ma i sensi di un superiore livello di civiltà e di dignità umana. Perché ancora e sempre possa dirsi di noi tutti: “Nati non foste per viver come bruti”.

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