Magnifico Kantor
La ricerca sonora di Richter oggi incontrerebbe molti nemici. Ma la sua imponenza marmorea non tarpa le ali alla tensione drammatica
Se l’immagine di Karl Richter è ancora oggi saldamente legata al repertorio settecentesco, le ragioni vanno individuate anche nel sodalizio con Deutsche Grammophon e la sua sussidiaria Archiv, per cui tra il 1952 e l’anno della morte incise una mole impressionante di composizioni di Bach e Handel, in molti casi per la prima volta in assoluto. Se il primo, che è stato l’oggetto preminente delle sue attenzioni, costituisce la fetta più ampia della discografia, più curioso è il lascito handeliano, che comprende anche lavori teatrali come il Giulio Cesare in Egitto o l’oratorio Samson. L’intero catalogo delle registrazioni per l’etichetta tedesca è oggi disponibile in un massiccio cofanetto da 97 cd, di recente pubblicazione, un ritratto monumentale che testimonia anche l’evoluzione nel corso del tempo del gusto musicale di Richter che, dapprima rigoroso e austero, divenne via via più estroverso, ma anche più esasperato nei suoi tratti caratterizzanti. A quasi sessant’anni di distanza dall’esecuzione, il Magnificat Bwv 243 si rivela assai meno statico di quanto voglia la vulgata. È sì imponente e marmoreo, tendenzialmente rilassato nei tempi e versato alla ricerca di un’ideale purezza timbrica, ma vanta altresì un’approfondita raffinatezza di articolazione e fraseggi. Tale magnificenza, benché sia perseguita attraverso un’adulterazione dell’organico originale sia in termini qualitativi che quantitativi, non svilisce la sincerità del sentimento religioso che anima Richter, anzi, lo sublima in un’esaltazione della tensione drammatica della pagina. In linea con l’impostazione estetizzante di fondo, la cura quasi edonistica delle sonorità e del colore si estende anche alla selezione di un cast vocale che riunisce timbri tra i più ammalianti allora in circolazione, almeno in area tedesca: Maria Stader, Hertha Töpper, Ernst Haefliger e Dietrich Fischer-Dieskau. È forse più alieno all’orecchio contemporaneo il suono della Münchener Bach-Orchester nelle quattro Suite per orchestra, rifinite con una bellezza e una rotondità che per ovvi motivi sarebbero precluse alle formazioni barocche, più spigolose e secche, cui si è ormai abituati.