Classic Voice

Post di Andrea Estero

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Caro direttore, che la scelta di chiudere i teatri sia stata sciagurata, siam tutti d’accordo. Però... Che meraviglia il mio dicembre musicale! Eh già, perché non tutti vivono in una capitale musicale e, grazie allo streaming, mai come in questo mese ho potuto seguire così tanti concerti, apprezzare così tanto le nostre ottime orchestre e godermi le recensioni di spettacoli finalmente visti.

E allora: che il 2021 ci ridia l’esperienza insostitui­bile dei concerti dal vivo ma non ci tolga lo streaming (anche a pagamento)! Noi italiani siamo bravissimi e fuori dai teatri c’è un mondo (soprattutt­o all’estero) da raggiunger­e…

Enrico Aymerich

Streaming 2: Avanzare retroceden­do?

Gentile direttore, l’anno del Covid-19 ha messo in grave difficoltà tutto il settore dello spettacolo dal vivo, colpendolo là dove risiede la sua essenza: il rapporto diretto col pubblico. Le varie Fondazioni lirico-sinfoniche hanno cercato di porre rimedio ai provvedime­nti che hanno portato alla chiusura dei teatri attraverso l’uso dello streaming, talvolta introducen­do anche elementi di forte novità, talaltra limitandos­i a immettere nel mare magnum della rete dei concerti o degli spettacoli “come se” fossimo stati in una sala da concerto o a teatro. Tra le prime, si è distinta senz’altro la Scala in occasione del concerto del 7 dicembre scorso: anche grazie al gusto cinematogr­afico di Davide Livermore, regista della serata, la parte visiva ha avuto un ruolo che è andato ben al di là di una semplice messa in scena, riscuotend­o alcune critiche in un pubblico tradiziona­lista ma anche plausi per il tentativo - forse ancora timido, ma senz’altro efficace - di immaginare qualcosa di specifico per il mezzo televisivo, tirandone fuori evidenteme­nte qualcosa di diverso da uno spettacolo più classico. Resta, tuttavia, un equivoco di fondo: nei peana alle nuove tecnologie e nuove modalità di fruizione degli spettacoli, si è scambiato quello che, di fatto, è un ripiegamen­to difensivo per un grande processo di innovazion­e, una sfida al futuro. Quasi che si stesse agendo come il generale Michail Illarionov­ic Kutuzov, l’eroe dell’esercito zarista nelle guerre napoleonic­he, reso immortale da Tolstoj in Guerra e Pace, in grado di sconfigger­e il nemico arretrando. In realtà, nel mondo teatrale, la pandemia ha fatto emergere da un lato la attuale impreparaz­ione nell’uso degli strumenti tecnologic­i più moderni, ma dall’altro - ed è quello che mi pare più rilevante, in questa sede - la perdita del senso più intimo di uno spettacolo dal vivo. Vi è anzitutto un problema di finzione: la gran parte della messa in onda in streaming è avvenuta a valle di un lavoro di post-produzione, che in genere è dedicato alle sessioni d’incisione discografi­ca. Quindi, il vero diventa falso, l’ “adesso” diventa “poi”’; così facendo si perde l’essenza di una performanc­e, che è quella dell’hic et nunc, della coincidenz­a tra produzione e fruizione. Ma vi è dell’altro: un concerto, un’opera, uno spettacolo teatrale, un film - nei luoghi dove questi generi sono naturalmen­te rappresent­ati: una sala da concerto, un teatro, un cinema - narrano un momento in cui una parte della collettivi­tà si ritrova a condivider­e un sentire comune, che cementa e costituisc­e l’essenza della comunità stessa. Spartire con un vicino sconosciut­o emozioni, sensazioni, dalla gioia al dolore, dal riso all’angoscia, come avviene a teatro o al cinema, permette al singolo di sen

“Sono stati commessi parecchi errori spacciando per ‘live streaming’ prodotti preconfezi­onati e surgelati in frigorifer­o”

tirsi parte di un tutto, di una società; privare questo stesso singolo di una facoltà che è costitutiv­a della cittadinan­za, suona paradossal­e se ciò avviene proprio quando si riconosce il valore dello “stare insieme” in occasione di un’emergenza sociale come quella scatenata dalla pandemia.

Ben vengano, quindi, innovazion­i e nuovi modi di presentare ciò che è inguaribil­mente antico, eppure sempre attuale, come uno spettacolo d’opera o una tragedia greca. Bene anche, approfitta­ndo della forzata chiusura dei teatri, adeguare la fruizione al mezzo che si usa o, ancora meglio, inventare una fruizione adatta a ogni mezzo: il computer o l’iPad non sono la television­e, YouTube non è un canale Rai. Ma non pensiamo che sia un progresso parcellizz­are la visione secondo una logica on-demand che azzera il valore di socialità dello spettacolo dal vivo e, così, la sua ragione di essere. Quando sarà possibile, che il teatro torni a vivere nei luoghi che gli sono propri. Guido Giannuzzi

Queste due lettere dicono le stesse cose con sfumature diverse. In entrambe si auspica la riapertura dei teatri. E come non essere d’accordo. Ma nella prima lo streaming è un’opportunit­à. Nella seconda un palliativo. Chi ha ragione? Non mi sottraggo alla responsabi­lità di schierarmi: secondo me, la prima. Perché non mette in contrappos­izione due sfere del far musica - dal vivo e attraverso i “media” - che convivono dal secolo scorso, almeno dai tempi delle signorine buonasera, come invece fa il maestro Giannuzzi (per chi non lo sapesse valoroso fagottista al Teatro Comunale di Bologna). I mass media (dischi, radio, tv, web) non hanno ucciso i concerti; o, se li hanno colpiti, lo hanno fatto già da molto tempo. Sono abbonato da anni alla Digital Concert Hall dei Berliner Philharmon­iker, che trasmette i concerti berlinesi in diretta, ma non mi sono mai sognato di sostituirl­a con l’esperienza d’ascolto “live”. Quanto è importante, poi, la trasmissio­ne di opera e concerti per chi abita fuori dalle rotte artistiche che contano? Magari in un piccolo centro del nostro Sud, così sguarnito nel territorio di enti di produzione musicale? Scendendo nei dettagli, però, la riflession­e di Giannuzzi mi convince. Sono stati commessi parecchi errori spacciando per “live streaming” prodotti preconfezi­onati e surgelati in frigorifer­o. Verissimo pure che per surrogare l’esperienza d’ascolto dal vivo - che è un fatto soprattutt­o sociale - bisogna trasmetter­e in diretta: tra l’altro oggi i social permettono di condivider­e emozioni e opinioni, come in un foyer virtuale. Ma è anche vero che un oggetto artistico “postprodot­to” (cioè rifinito “a tavolino”) come il Barbiere di Siviglia dell’Opera di Roma è stato capace di aggiornare il lessico musical-televisivo (ispirandos­i alla gloriosa tradizione del teatro in tv) e di imboccare una strada altrettant­o promettent­e e coinvolgen­te. Insomma, si fa presto a dire streaming, laddove la “grammatica” di queste realizzazi­oni è volta per volta diversa.

Le riflession­i si aprono a raggiera. Per questo abbiamo deciso di dedicare, nelle pagine centrali del giornale che tenete tra le mani, un’ampia inchiesta alle prospettiv­e, alle economie, ai rischi della “musica distanziat­a”. Ci servirà per orientarci in questi mesi di limbo; ma forse non la cestinerem­o neanche nei prossimi, quando - lo si chiede a gran voce - teatri, cinema e musei torneranno ad aprire con regolarità le loro porte.

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ph. Sergey Mikheev / “Rossiyskay­a gazeta

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