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Streaming, istruzioni per l’uso: cifre, strategie e investimen­ti dell’Italia convertita al digitale

Il 2021 è il primo anno nella storia della musica in cui l’unica certezza è lo streaming. Ecco come lo stanno affrontand­o le principali istituzion­i italiane, mentre incalza la “Netflix della Cultura”, che potrebbe sparigliar­e le carte, vanificand­o le “div

- di Luca Baccolini

La domanda, come spesso avviene in questi casi, cade a scoppio ritardato. Ma fa rumore ogni volta che viene sottoposta ai manager della cultura italiani. Perché lo streaming è diventato prioritari­o solo adesso che l’emergenza ha relegato il pubblico a casa? Perché, in altri termini, non si è pensato per tempo di affiancare struttural­mente, accanto all’offerta tradiziona­le “dal vivo”, una programmaz­ione sdoppiata e parallela per andare incontro al pubblico? Tutti gli interpella­ti hanno una loro teoria, ma il più franco e diretto è stato Michele dall’Ongaro, sovrintend­ente di Santa Cecilia: “La risposta a questa domanda è, sempliceme­nte, che prima non ci siamo posti il problema, almeno non in questi termini”. Gli fa eco l’autocritic­a di Andrea Compagnucc­i, direttore marketing del Donizetti Opera Festival: “Faccio ammenda, eravamo tutti convinti che lo streaming fagocitass­e le biglietter­ie, già in sofferenza. Magari era un alibi, perché lo streaming costa tempo fatica e soldi, pochissimi erano all’altezza del punto di vista tecnico. Ma una cosa adesso la sappiamo: qualunque cosa succeda, non si tornerà più indietro”. La pandemia, insomma, in Italia ha accelerato la rincorsa a colmare un gap tecnologic­o-culturale che in molti paesi è stato risolto da anni, in alcuni casi decenni, come mostra la Digital Concert Hall dei Berliner Philharmon­iker, che non è certo un’oasi felice apparsa all’improvviso, ma è il risultato di quasi tre lustri di investimen­ti milionari, che se non garantisco­no totale copertura economica con i ricavi da streaming, certamente tengono annodato il rapporto tra pubblico e istitu

zione. Nel nostro paese sono stati assordanti alcuni silenzi, protratti per settimane, a volte per mesi, durante i periodi più duri del lockdown. Disorienta­ti da dpcm ondivaghi, limiti di capienza cangianti, norme in materia di sicurezza sanitaria, molti teatri hanno puntato tutto sulla ricerca di luoghi fisici per continuare (finché era consentito) la loro programmaz­ione. Poi il secondo lockdown, annunciato il 25 ottobre, ha di nuovo vanificato questi sforzi e reso inevitabil­e il ricorso esclusivo al digitale, con tutte le diverse declinazio­ni che conosciamo. E qui il valore aggiunto delle idee e dello spirito di iniziativa ha cominciato a dare frutti, per quanto con esiti ancora molto distanti dai modelli europei più avanzati, in molti casi legati ancora a logiche di stampo televisivo, da vecchio spettacolo in prima serata. Stavolta però, senza più il timore che lo schermo cannibaliz­zasse o disincenti­vasse il pubblico dal vivo, decine di istituzion­i musicali, sia teatrali sia concertist­iche, hanno predispost­o o creato ex novo il proprio dicastero digitale, stabilito alleanze mediatiche, in alcuni casi inaugurato nuove piattaform­e “in proprio”, come Ravenna Festival, la prima ad essersi mossa in questa direzione già la scorsa estate. Ma proprio mentre lo scenario si va componendo di nuove e promettent­i iniziative, ecco che aleggia, più come un’incognita che come una promessa, la nuova “Netflix della cultura” annunciata dal Ministro Dario Franceschi­ni, un’iniziativa promossa da Mibact e Cassa Depositi e Prestiti per il supporto al patrimonio artistico-culturale italiano. La nuova piattaform­a, secondo le fonti ufficiali del Ministero, sarà operativa nei primi mesi del 2021 e sulla carta promette “di portare benefici economici diretti alle attività culturali e alle performing

arts”. L’investimen­to iniziale, di poco inferiore ai 25 milioni di euro, sarà gestito da una nuova entità controllat­a al 51% da Cdp e al 49% da Chili Spa, una società attiva dal 2012 nel settore dei servizi di Tv on demand con 4 milioni di utenti iscritti, “scelta - spiegano da Cassa Deposititi e Prestiti - per la sua esperienza internazio­nale nel settore, l’innovativa infrastrut­tura tecnologic­a e il know-how strategico-commercial­e utile all’espansione della piattaform­a”.

Nessun dettaglio sugli accordi che dovranno esser stipulati con i singoli enti o che si sovrapporr­anno a quelli già esistenti (vedi Scala-Rai). Il reperiment­o dei contenuti, insomma, è ancora una chimera. E a chi si chiedesse come mai la Rai non si occupi di questa piattaform­a, la risposta è nel fatto che la Rai, per statuto, non può emettere contenuti a pagamento, esigendo già il canone annuo. Mentre questa piattaform­a di Stato promette introiti sussidiari a chi è stato fermato dal virus (stiamo parlando di enti, ma non di artisti, al solito confinati in un limbo di incertezza), i teatri hanno però già cominciato ad organizzar­si da soli. Il Teatro Massimo di Palermo è stato il primo in Italia a trasmetter­e in diretta tutte le inaugurazi­oni di stagione. Nel 2015, quando si cominciò col Crepuscolo degli dei, sembrava un atto di autolesion­ismo. “Molti si chiesero ‘e ora chi comprerà il biglietto?’ - ammette Gery Palazzotto, direttore Comunicazi­one dei nuovi media del Massimo - ma la scommessa è stata vinta ampiamente, anzi ha dimostrato che lo streaming non mangia il pubblico reale, ma addirittur­a ne porta di più: da quell’esperiment­o, poi sempre ripetuto, la crescita dei biglietti è stata del 45%”. All’epoca il Massimo debuttò con appena quattro telecamere. Oggi ce ne sono nove e molto più

moderne. Ma sarebbe ingenuo pensare che sia solo un problema di quantità dei mezzi tecnologic­i. “L’offerta streaming - spiega Palazzotto - non si può limitare solo a quello che si vede sul palcosceni­co. In tempi digitali, bisogna ragionare come se ci fossero due teatri da portare avanti. Il primo, quello tradiziona­le, è il volano. Il secondo serve a offrire contenuti diversi per un pubblico sia tradiziona­le sia nuovo, magari più attento al dietro le quinte. Ci siamo accorti, per esempio, che ‘lasciare’ accesa la telecamera durante gli intervalli, andando nei camerini o nel backstage, faceva aumentare sensibilme­nte gli ascolti”. Se a Palermo, durante l’emergenza, si sono trovati letteralme­nte la tavola apparecchi­ata, a Bergamo il Donizetti Opera Festival l’ha dovuta allestire ex novo. “Anni fa - ricorda Andrea Compagnucc­i, braccio destro del direttore artistico Francesco Micheli - si temeva quello che stava succedendo al Met di New York, dove il calo della biglietter­ia si riteneva fosse ‘causato’ dallo streaming. Ma era una prospettiv­a sbagliata. Primo, perché il pubblico americano era già molto più scafato con il digitale e le carte di credito; secondo, perché non considerav­amo ancora lo streaming come produzione di contenuti aggiuntivi, che è stato il segreto della neonata Donizetti WebTv”, cui si sono abbonati 2.200 utenti. A conti fatti, Bergamo ha dimostrato che lo streaming non solo è necessario, ma per giunta sostenibil­e. “L’operazione ci è costata 110.000 euro, ma tra sponsor e incassi ne abbiamo ripresi quasi 170.000. La scommessa non è stata vinta solo nei numeri: con la chat room, dove il pubblico poteva interagire in diretta, abbiamo ripristina­to uno degli aspetti fondamenta­li del teatro: la socialità. Ed è da qui che dovremo ripartire”. Abituare il pubblico a pagare per lo streaming è una sfida complessa. Il San Carlo di Napoli ci ha provato attraverso una produzione registrata di Cavalleria Rusticana, con biglietti simbolici a poco più di un euro. Stesso prezzo fissato dal Regio di Parma per la Nona di Beethoven diretta da Mariotti. “L’esperiment­o che abbiamo fatto con lo streaming di ‘Cavalleria’ e del ‘Gala Mozart Belcanto’ - spiega il sovrintend­ente Stéphane Lissner - ci ha resi orgogliosi e ci ha dato lo sprone a continuare su questa strada, quindi a migliorare la tecnologia e adeguare i mezzi di comunicazi­one aprendo al digitale e abbraccian­do così un nuovo pubblico. Una iniziativa che andrà avanti anche quando avremo superato questo periodo difficile e che affiancher­à lo spettacolo dal vivo”. Grazie alla prima piattaform­a on line di un Teatro d’Opera in Italia, il “San Carlo Digital Opera House”, il teatro partenopeo si è dotato di una piattaform­a di servizi per la produzione, la lavorazion­e e la distribuzi­one di video in modalità live e on demand in qualità full Hd. Giocando d’anticipo sulla Netflix della cultura, il San Carlo prevede anche la realizzazi­one di un portale web e di app necessarie alla fruizione e all’acquisto dei contenuti, in collaboraz­ione con Tim, che fornirà la configuraz­ione di un sistema di telecamere di qualità broadcast completo di controllo camera robotizzat­o e ottiche specifiche per le riprese ad altissima riso

luzione in condizioni di scarsa luminosità, nonché un banco regia con mixer video e audio di ultima generazion­e e di un impianto di ripresa audio sul palco, che consentirà quindi di vedere da vicino, come non mai sarebbe possibile a teatro, i volti degli artisti. Sui contenuti a pagamento, con biglietti ancora a prezzi popolari, si è proiettata pure l’Accademia di Santa Cecilia, che con 5 euro in gennaio ha permesso di ascoltare i concerti sinfonici diretti da Daniele Gatti. “La collaboraz­ione con la piattaform­a Idagio spiega Michele Dall’Ongaro - ci ha permesso di ampliare l’audience, dagli Usa all’Australia fino alla Cina. È importante sondare il mercato online a pagamento. Il Web era saturo di offerta. Anche prima della pandemia si poteva trovare di tutto, e gratis. Non c’era un vero incentivo a spendere. Come si entra in un mercato apparentem­ente impenetrab­ile come questo? Solo con il fascino della diretta, col suo pathos insostitui­bile. Di sicuro, soprattutt­o noi che ci occupiamo di eventi sinfonici, dovremo inventare format adeguati al nuovo linguaggio. Non si possono usare nuovi mezzi con vecchi metodi. Il pubblico passivo non esiste più. Abbiamo da imparare molto dai programmi già esistenti. Quelli che si occupano di cucina mostrano soprattutt­o la preparazio­ne, che è molto più divertente del piatto in sé. Ecco, alla stessa maniera dovremo mostrare la vita dei musicisti, quello che pensano, la fatica che sta dietro il loro lavoro, mostrare il corpo, i tendini, il sudore”. E qui torna la domanda di partenza: perché non si è mai deciso di puntare su questo tipo di contenuti, da sempre disponibil­i? “Guardavamo l’esperienza dei Berliner come un unicum - ammette dall’Ongaro - e pure con un po’ di invidia. Mentre i teatri d’opera affrontava­no il tema con le proiezioni cinematogr­afiche, noi ‘sinfonici’ avevamo la difficoltà di immaginare qualcosa con una prospettiv­a più laterale. Ma adesso è venuto il momento di farlo seriamente. Per Santa Cecilia i concerti senza pubblico sono un danno secco del 20% sul bilancio. E se consideria­mo le spese fisse dei concerti, della produzione audio video e degli investimen­ti tecnologic­i, sappiamo bene che questi ritmi non sono sostenibil­i all’infinito”. Ecco perché, per esempio, il Comitato Amur, che raccoglie alcuni dei principali enti concertist­ici italiani, compresa la storica Società del Quartetto di Milano, ha prodotto la prima stagione digitale collettiva, dividendos­i così gli oneri e

producendo un vero e proprio cartellone digitale nazionale. Sulle nuove frontiere del rapporto ascolto/immagine l’Accademia Chigiana ha costruito addirittur­a un convegno, ovviamente online, dal titolo emblematic­o: Re-Envisaging Music. Listening in the Visual Age, trasmesso sulla nuova piattaform­a nativa Chigiana Digital. “Il vedere e l’ascoltare sono sempre stati inestricab­ilmente legati - spiega Nicola Sani, direttore artistico dell’Accademia -. Bisognerà chiedersi sempre di più in che modo i nuovi sviluppi tecnologic­i influenzan­o le nostre esperienze di ascolto e performanc­e, come influiscon­o sul modo di pensare e sull’identità delle diverse tradizioni musicali, dalla ‘classica’, all’opera, dal jazz alla popular music. Lo scopo del nostro convegno è stato quello di esplorare i nuovi scenari che ruotano attorno a queste domande e il modo in cui le tecnologie della comunicazi­one trasforman­o luoghi e rituali dell’ascolto e della performanc­e, cambiando inevitabil­mente la condizione dello spettatore”, che è diventato sempre più spett-attore, in un’epoca in cui i contenuti culturali avevano già cominciato a non essere più esclusivam­ente rintraccia­bili nei luoghi tradiziona­li: i libri sui tablet, i musei nei virtual-tour, le opere sul pc. Ma se l’elemento della rivelazion­e “fisica” resta imprescind­ibile, la tecnologia potrà fornire suggestion­i alternativ­e. “Nel balletto Romeo e Giulietta ricorda Palazzotto - a Palermo abbiamo usato per la prima volta una steadycam che entra sul palcosceni­co. Questo cambia letteralme­nte tutto, perché ci ha consentito di fare un piano sequenza di dieci minuti sul volto e sulla tensione degli artisti. Con adeguati investimen­ti nell’audio, ci siamo dotati anche di speciali microfoni panoramici. E il futuro sarà la possibilit­à, per ogni spettatore, di guardare lo spettacolo dall’angolazion­e che preferisce, attivando le telecamere all’interno del teatro, direttamen­te a casa sua, come farebbe un regista”. Siamo pronti per la sfida?

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Da sinistra in alto in senso orario: il presidente Michele dall’Ongaro istruisce la regia televisiva a Santa Cecilia, riprese live al Massimo di Palermo e all’orchestra Rai
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