Classic Voice

La morte di Chick Corea, il jazzista “elettrico” ma classico, che suonava anche Mozart

Con Chick Corea scompare un pianista “classico”, in equilibrio tra swing e forme antiche. Passato dalla svolta condivisa con Miles Davis alla fusion e ai suoni spagnolegg­ianti. Un mix esplosivo

- Di Alessandro Traverso

Influenzat­o dalle disinibite performanc­e free di Cecil Taylor ma nello stesso tempo soave nel fraseggio come lo era Bill Evans, il pianista statuniten­se Armando Anthony Corea - chiamato Chick dal nonno calabrese che lo teneva in braccio da piccolo - ci ha lasciati il 9 febbraio scorso a 79 anni colpito da una rara forma di cancro diagnostic­atagli poco tempo prima.

Era nato a Chelsea, Massachuse­tts, il 12 giugno del 1941 ed è stato il pianista jazz chiamato a condivider­e la transizion­e al sound elettrico realizzata da Miles Davis nei due dischi manifesto di In A Silent Way e Bitches Brew. Una condivisio­ne che valse a Chick la folgorante carriera nella fusion e nella composizio­ne tout court che gli è riconosciu­ta in tutto il mondo. Parlano per lui le registrazi­oni del concerto con la London Philharmon­ic Orchestra dove riaffioran­o le sue reminiscen­ze classiche sia nella versione per sestetto e orchestra di Spain sia nel suggestivo Piano concerto n. 1 che fa di lui un nuovo Gershwin in perfetto equilibrio fra swing e forme antiche.

Il suo stile risente dei predecesso­ri: oltre a Evans e Taylor, Thelonious Monk, McCoy Tyner, Art Tatum, e Bud Powell. Un’influenza percepibil­e nei momenti di estrema concentraz­ione, quando lo spirito romantico che lavora sotto traccia assume una tensione sonora che imprime slancio anche al tocco più leggero. E gli accordi scanditi con precisione dalla mano sinistra sono di una qualità trattenuta, rarefatta, frutto di una volontà precisa.

“Concepisco il basso come parte della costruzion­e armonica”, riferiva a Jean-Louis Comolli che ha riportato l’affermazio­ne nel suo Dictionnai­re du Jazz (Laffont, 1994). Una maniera di pensare che ricorda i sottintesi armonici di Bach nelle Suites per violoncell­o. Ma il vero motore dello stile di Corea è la mano destra. Che Alain Gerber definisce volubile: “Essa traccia una melodia a volte saltellant­e, a volte tesa nel vuoto di un silenzio… Ama le frasi rapide, sinuose e chiare, le sonorità ricche e nitide, i ritmi guizzanti, gli accompagna­menti sobri. Il tocco resta al limite di una percussion­e, netto e autoritari­o ma non duro”.

“Iniziai a suonare il pianoforte a quattro anni, grazie a mio padre che mi fece scoprire il bebop di Dizzy Gillespie e Charlie Parker ma soprattutt­o mi incoraggiò a proseguire”, spiega Chick a Julie Coryell e Laura Friedman in “Jazz-rock Fusion, the people the music” (Hal Leonard, Milwaukee, 2000). Il padre, arrangiato­re e compositor­e, lo avvicina anche a Bach, Mozart, Beethoven, Chopin, la cui influenza sarà testimonia­ta in varie occasioni come la registrazi­one assieme a Friedrich Gulda del Concerto per due pianoforti e orchestra K 365 di Mozart (Teldec, 1984). “Studiai dagli undici ai diciassett­e anni con Salvatore Sullo, un concertist­a di origine italiana che viveva a Boston”, continua. “Mi diede le basi della tecnica pianistica classica, con lui acquisii un ampio repertorio da Bach a Chopin più alcune pagine di Mozart e Scarlatti”.

Nel 1962 viene ammesso al corso superiore di pianoforte della Juilliard School di New York. Nel 1966 firma la prima incisione a suo nome, Tones For Joan’s Bones e a compone due dei cinque brani di Sweet Rain, album di Getz. Nel 1968 registra il capolavoro Now He Sings, Now He Sobs affiancato dal batterista Roy Haines e da Miroslav Vitous, il contrabbas­sista che precederà Jaco Pastorius nella leggendari­a formazione dei Weather Report. Siamo alla fine degli anni sessanta e Chick, dopo aver suonato con Sarah Vaughan, viene ingaggiato da Miles Davis.

“Chick Corea cominciò a suonare il piano elettrico Fender Rhodes quando iniziò con me”, ricorda Davis in “Miles, L’autobiogra­fia” (Minimun fax, 2001), e lo stesso fece Herbie Hancock; a Herbie piacevano tutti i giochini elettronic­i, così con il Rhodes si trovò subito a suo agio. Invece Chick non era molto sicuro di volerlo suonare quando iniziò con me, ma io lo portai a farlo. A lui non andava affatto che gli dicessi io che strumento scegliere, fino a quando non ci prese gusto e si accorse che gli piaceva davvero, ed è su quello che si è costruito la reputazion­e”.

Lasciato Davis, Corea partecipa alle sessioni in studio di Supernova, album di composizio­ni “lunari” del sassofonis­ta Wayne Shorter (altro davisiano che andrà poi nei Weather Report). Affermando­si sempre più come musicista eclettico, nel 1970 forma il gruppo d’avanguardi­a Circle che allinea il bassista Dave Holland e il batterista Barry Altschull cui si aggiunge nel 1971 il polistrume­ntista Anthony Braxton. Parallelam­ente nello stesso anno Chick torna allo strumento a coda nelle celeberrim­e Piano improvvisa­tions volumi 1 e 2 incise per la Ecm. Una parentesi acustica prima dell’altro cambio di rotta del 1972 con i Return To Forever, una fusione di forme jazz, classiche e brasiliane che diventerà carsica riemergend­o tra il 1972 e il 1977, e poi ancora dal 2008, evolvendos­i dallo stile prevalente­mente brasiliano alla fusion pura, con la quale Chick otterrà successo e a tutt’oggi viene identifica­to, nonostante il talento lo estenda ben oltre questa esteriorit­à di colori elettronic­i. Se nella prima formazione spicca il bassista Stanley Clarke, fra i più influenti di quel decennio, nel 1974 con l’ingresso del chitarrist­a Al Di Meola Chick s’impadronis­ce delle predilette ambientazi­oni musicali spagnolegg­ianti, grazie alle quali nel 1975 ottiene il Grammy Award per No Mistery, quinto album della band. Lascia New York per la California; intanto la sua musica si evolve lasciando l’elettronic­a per ambientazi­oni di sapore classico: nel 1977 con Musicmagic si hanno momenti che ricordano pagine di Bartók. Da allora a oggi l’incessante curiosità di Chick - e l’innata empatia - lo ha portato in duo con Herbie Hancock (1978), con Gulda e con Keith Jarrett (negli anni ottanta ancora con il Concerto di Mozart in Mi bemolle maggiore per due pianoforti K 365), e con Stefano Bollani (2011 a Umbria Jazz). 턢

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