Angelo Mariani, i 200 anni del direttore che sdoganò Wagner in Italia
Nato 200 anni fa, Angelo Mariani fu l’antesignano dei moderni direttori d’orchestra. La sua visione d’insieme tra palcoscenico e buca dettò legge. Poi le incomprensioni con Verdi, per “colpa” di Wagner e di Teresa Stolz
Gli anni che precedettero e seguirono l’unità d’Italia furono fecondi di novità anche per il mondo musicale. Non c’era solamente l’ombra lunga del wagnerismo ad alimentare un nuovo immaginario, spesso guardato con sospetto se non avversato, ma anche l’ormai comprovata esigenza di unificare l’idea alla base di un’esecuzione musicale intorno a una mente unica, che potesse assicurare la dovuta qualità a un linguaggio che diventava sempre più complesso. D’altronde rispetto al secolo precedente le cose erano molto cambiate. Gli organici orchestrali si erano fatti più folti e la scrittura più elaborata, troppo per essere gestita da un semplice maestro al cembalo o da un primo violino che desse gli attacchi menando l’archetto. In questo processo di rinnovamento, Angelo Mariani fu il primo direttore d’orchestra italiano per come lo intendiamo oggi. Nella sua pur breve carriera introdusse molte innovazioni che migliorarono l’efficienza e il livello tecnico delle orchestre, che fino a inizio Ottocento erano spesso modeste e raccogliticce, ne ristrutturò l’organizzazione, importò e sdoganò una serie di opere straniere (Meyerbeer e soprattutto Wagner, di cui fu il primo direttore in Italia), ma soprattutto comprese la dignità imprescindibile dell’interprete, ben prima che cominciasse a diventare fondamentale la figura di un “direttore delle musiche” che si facesse carico della concertazione, cioè di assemblare le varie componenti e calibrare gli equilibri in prova, ma anche della conduzione vera e propria durante le recite. Nell’Europa continentale, dove la musica strumentale aveva raggiunto livelli di complessità via via crescenti sin dal primo Ottocento, il problema era già stato affrontato e risolto; in Italia invece la prevalenza del melodramma sulla musica strumentale aveva differito la questione, almeno per i primi decenni del secolo. In questo panorama si affermò Angelo Mariani. Nato a Ravenna nel 1821, benché provenisse da una famiglia umile ebbe la possibilità di ricevere una formazione musicale completa sin dall’infanzia. Studiò prima il violino, poi, durante l’adolescenza, armonia e composizione. Quando non aveva ancora compiuto vent’anni gli si prospettò l’occasione di salire per la prima volta su un podio, di fronte alla banda di Sant’Agata, cui restò sempre legato. Un debutto dal valore artistico probabilmente modesto, ma che gli diede modo di approfondire la conoscenza degli strumenti a fiato, che nel giro di pochi mesi arrivò a padroneggiare in modo sbalorditivo.
Da quel momento iniziò un percorso che lo condusse in giro per l’Italia e l’Europa, da Macerata a Messina, da Milano a Copenhagen fino a Costantinopoli, dove diresse per due anni il Teatro Italiano. Nel 1852 il Carlo Felice di Genova decise di scommettere su di lui offrendogli la direzione artistica con pieni poteri, un’intuizione allora pionieristica, rivelatasi vincente. Qui poté stravolgere l’orchestra, ampliandone l’organico e plasmandola unità dopo unità, facendosi carico in prima persona sia delle audizioni, sia delle questioni contrattuali. Fu proprio a Genova che, in occasione di un concerto nel 1860, comparve per la prima volta la dicitura “Maestro concertatore e direttore delle musiche” stampata sulla locandina accanto al suo nome. Quel che Mariani operò nell’arco di un paio di decenni fu una vera rivoluzione, soprattutto nell’opera. Molte delle abitudini e dei vizi esecutivi vennero messi in discussione fino a scomparire. Dalle voci, il focus dell’attenzione si spostò verso la componente propriamente musicale in un rinnovato rispetto per la partitura, sottraendo quindi libertà di intervento e manipolazione agli interpreti e, di fatto, centralità ai cantanti. In poco tempo tagli e manomissioni, slittamenti di tonalità e qualsiasi adulterazione di comodo divennero sempre più osteggiati. Un passaggio fondamentale nella vita di Mariani fu l’incontro con Giuseppe Verdi, che avvenne nel 1846 quando il Teatro Re di Milano lo ingaggiò per dirigere una produzione de I due Foscari e che si consolidò nel tempo fino a diventare una vera e propria amicizia, terminata bruscamente solo sul finire degli anni ‘60. Nei due decenni che intercorsero Mariani tenne a battesimo l’Aroldo a Rimini (1857) e la prima italiana del Don Carlos a Bologna nel 1867, oltre a dirigere molte altre opere verdiane, da Ernani ai Lombardi, da Luisa Miller fino al Ballo in maschera, sempre fedele al suo metodo di lavoro, che prevedeva prove al pianoforte con i cantanti e interminabili sedute con l’orchestra (prima con la lettura di seguito dell’intero atto, poi con analisi più approfondite dei singoli passi). Ne derivava insomma un’omogenea unità d’intenti nell’esecuzione, che oggi diamo come requisito necessario, ma che all’epoca costituiva una novità. Una serie di eventi, tra cui le incomprensioni che caratterizzarono il fallimento del progetto della Messa per Rossini (Mariani avrebbe dovuto dirigerla ma si sottrasse, probabilmente offeso per non essere stato incluso nella lista dei compositori coinvolti nella stesura delle musiche) e il misterioso ménage à trois con Teresa Stolz, la primadonna amante e poi fidanzata di Mariani ma legata a Verdi da una relazione mai del tutto chiarita, portarono al deterioramento del rapporto. L’estrema rivoluzione Mariani la compì nei suoi ultimi anni di vita, quando riuscì a portare in Italia per la prima volta il teatro di Wagner, con il Lohengrin bolognese del 1871, cui seguì nel ‘72 anche Tannhäuser. Alcuni commentatori dell’epoca insinuarono malignamente che Mariani avesse messo in piedi il progetto per vendicarsi di Verdi, apparecchiando in casa sua il successo dell’unico operista al mondo che potesse oscurarlo, e per giunta poche settimane prima del debutto di Aida al Cairo, appuntamento che Mariani stesso avrebbe dovuto dirigere, prima che la scelta ricadesse su Giovanni Bottesini. Fatto sta che il 1 novembre del 1871 il Wagner all’italiana di Mariani esitò in un successo, con i due preludi e la marcia nuziale bissati. Anche Verdi assistette a una delle repliche, quella del 19 novembre. Dopo lo spettacolo i due si incrociarono alla stazione di Bologna, non senza reciproco imbarazzo, per l’ultima volta. Mariani sarebbe morto due anni più tardi. 턢