Classic Voice

Cent’anni di Géza Anda, l’erede di Bartók

Nella linea che da Liszt va a Bartók e Kodály, passando per Mozart e Brahms, il centenario Géza Anda vedeva la possibilit­à di affermare un pianismo rigoroso. Senza compromess­i col rapsodismo magiaro. Che si spinge fino al Novecento di Boulez

- Di Luca Chierici

Allievo di Erno von Dohnányi e di Zoltán Kodály al Conservato­rio di Budapest, l’ungherese Géza Anda (nato a Budapest cento anni fa e morto a soli 55 anni a Zurigo nel 1976) fu uno dei pianisti più interessan­ti e dotati tra quelli che iniziarono la propria attività negli anni 40 e viene ricordato oggi come esempio di assoluta integrità artistica e di una impostazio­ne concertist­ica del tutto moderna che ha avuto indubbiame­nte un’influenza indiretta su molti giovani interpreti a partire da quelli della generazion­e attiva da

gli anni 60. I suoi primi debutti in patria e in Germania a seguito della vittoria del Premio Liszt gli permisero di collaborar­e con direttori di altissimo livello come Mengelberg e Furtwängle­r (quest’ultimo coniò per lui l’appellativ­o di “trovatore al pianoforte”) e un tipo di contratto esclusivo lo legò per molto tempo alla Steinway come unica casa costruttri­ce di pianoforti da utilizzare nelle proprie esibizioni pubbliche.

Le preferenze artistiche di Anda si leggono facilmente già attraverso l’esame del suo recital di diploma avvenuto alla Musikakade­mie di Budapest il 4 giugno del 1941: Handel, Mozart (la Sonata K 331), Liszt (la Sonata in Si minore), i tre Intermezzi op. 117 di Brahms, la Toccata di Schumann e due studi da concerto di Dohnányi. Manca Bartók, è vero, troppo recente per quella data o forse ancora inesplorat­o, e pure Beethoven e Chopin ma la visione storica costruita attraverso i nomi che più interessav­ano il giovane pianista è completa, segno di una evidente maturità e anche di una concezione molto spinta del virtuosism­o strumental­e, un virtuosism­o non fine a sé stesso ma diretto all’approfondi­mento musicale dei testi affrontati. Non dimentichi­amo però che Anda era cresciuto alla scuola di un pianista, Dohnányi, che era stato anche allievo di Eugen D’Albert e quindi in contatto diretto con la grande scuola lisztiana.

All’interno dei recital seguenti, sempre nei lontani anni ’40, spuntano anche i nomi di Chopin, Debussy, Ravel. La carriera di Anda prosegue a ritmo implacabil­e e attraverso ulteriori scelte che denunciano la sua grande sensibilit­à artistica e culturale. Al Festival di Salisburgo del 1952 ai classici si aggiunge Haydn, il Brahms difficilis­simo delle Variazioni-Paganini e persino l’appena composta Sonata di Liebermann. Beethoven (la Sonata op. 101) e Bartók appaiono nei programmi dell’anno successivo, contesto in cui si inserisce anche il

Carnaval di Schumann che assieme ai due esempi appena citati rimarrà per sempre una delle pagine favorite dal grande pianista. A Salisburgo, nel 1954, Anda indica chiarament­e il rapporto stretto di parentela tra Liszt e Bartók eseguendo il primo Mephisto-Walzer, La Campanella e la Suite op.14. Negli ultimi anni di attività uno dei suoi programmi preferiti comprendev­a la seconda Partita di Bach, la seconda Sonata di Chopin, le Valses nobles et sentimenta­les di Ravel e le Variazioni-Paganini di Brahms. Proprio in questo programma ebbi l’occasione di ascoltarlo a Milano nel dicembre 1972, per la stagione degli Euroconcer­ti, ritenendo ancora oggi un ricordo molto vivo soprattutt­o per l’esecuzione del Carnaval. La presenza di Anda sul palcosceni­co comunicava una notevole sensazione di sicurezza, sia dal punto di vista della tenuta tecnica che per la scelta non gratuita di “sorprese” interpreta­tive controcorr­ente.

Fu il suo un repertorio non vastissimo ma scelto con acume straordina­rio e un concetto molto moderno del recital pianistico, centrato su elementi scelti e disposti secondo una sequenza non tanto illustrati­va dal punto di vista cronologic­o quanto diretta a indicare quelli che per lui erano i momenti chiave della letteratur­a pianistica, precedendo in tal senso le scelte - per certi versi simili - operate più tardi da Maurizio Pollini.

Grande spazio, nel repertorio di Anda ebbero i concerti per pianoforte e orchestra. Nel 1961, quando iniziò da parte sua l’avventura della registrazi­one integrale dei concerti mozartiani, ispirato dall’esempio del

proprio maestro Dohnányi che tali concerti aveva eseguito in pubblico, era molto difficile accedere a una simile documentaz­ione in vinile (anche se il compito, affrontato in precedenza solamente da Lili Kraus fu poi portato a termine da Anda otto anni dopo, nel 1969) così come di particolar­e interesse - al di là dell’eccellenza assoluta dell’interpreta­zione del solista - era nel 1960 la proposta discografi­ca dei tre concerti per pianoforte e orchestra di Bartók. Anda, secondo quanto confessò durante un’intervista alla Radio francese, concepiva i concerti di Mozart come un prodotto a metà tra la sinfonia e il pezzo da camera dove il pianoforte aveva un ruolo appena predominan­te nei confronti dei solisti che sedevano in orchestra. E la sua incisione lascia intraveder­e molto chiarament­e questa idea, corroborat­a dal fatto che lo stesso pianista impose di eseguire quel repertorio dirigendo dalla tastiera, fatto questo che a quell’epoca era tutt’altro che diffuso, soprattutt­o nel caso di una compagine così vasta.

Anda si dedicò diverse volte ai due concerti di Brahms, seguendo anche una propension­e verso il repertorio più complesso e di straordina­rio impegno personale. Del secondo Concerto ci rimane una preziosa lettura in collaboraz­ione e con Fricsay con i Berliner Philharmon­iker. È un programma inciso in studio nel 1960 che si affianca a un’altra famosa incisione con Karajan del 1968 con la stessa orchestra e a un più improvvisa­to “live” che in tempi pionierist­ici aveva visto Anda e Karajan collaborar­e con la nostra orchestra romana della Rai (1954). Ma il tempo ha riportato alla luce anche altre esecuzioni dal vivo molto pregevoli a fianco di Klemperer, Desormière­s e Rosbaud. Non siamo purtroppo in possesso di una registrazi­one in studio del Primo Concerto, mancanza cui sopperisce in parte, sempre nella discografi­a “ufficiosa” di Anda, un’altra coppia di “live” di entrambi i concerti curiosamen­te ancora ambientata a Roma, nel 1964, sotto la direzione di Paul Strauss, oltre a un altro live con Jochum (1967). Nonostante la preferenza per il repertorio concertist­ico bartokiano, Anda non spinse la propria curiosità verso la produzione contempora­nea, ma non senza prima avere esaminato a fondo il meglio di essa. Conosceva molto bene Boulez e la sua Seconda Sonata, ma la riteneva talmente complessa da essere difficilme­nte proponibil­e. Per Bach aveva una certa idiosincra­sia, e raramente lo proponeva pubblico, essendo convinto del fatto che ci fossero solamente tre o quattro pezzi adatti a essere suonati sul pianoforte moderno e tra questi la seconda Partita in Do minore.

Le incisioni dei tre Concerti e della Rapsodia op. 1 di Bartók, portate a termine tra il 1959 e il 1960, necessitar­ono, per ovvi motivi di assieme, di una esperta mano conduttric­e e in tal caso la scelta non poteva cadere meglio di quella che coinvolse l’ungherese Ferenc Fricsay a capo della Radio-Symphonie Orchester di Berlino. Si tratta di incisioni che aprirono la strada alla rivalutazi­one di questi lavori dalle caratteris­tiche tra loro piuttosto differenti e alla loro inclusione nei programmi concertist­ici: prima erano pochi gli esecutori in grado di affrontarn­e le difficoltà non comuni, specialmen­te nel caso del meno eseguito Concerto n. 1. Anda amava in particolar modo il diafano, enigmatico Terzo Concerto, che ebbe occasione di eseguire in pubblico anche con Karajan (mai attratto dai primi due concerti ma curiosamen­te affezionat­o a questo lavoro tardivo).턢

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