Classic Voice

Come nasce un film opera

“Adriana Lecouvreur”, titolo inaugurale del 2021 del Teatro Comunale di Bologna, raccontata dalla regista Rosetta Cucchi. Opolais al debutto nel titolo, in onda su Rai 5

- LU.BAC.

Più di venti tecnici Rai, tre camion parcheggia­ti vicino al teatro, turni di ripresa pomeridian­i che arrivano fino a sei ore. Questa è l’opera quando diventa film. Adriana Lecouvreur, inaugurazi­one della stagione 2021 del Teatro Comunale di Bologna (in onda su Rai 5 l’10 marzo e poi disponibil­e on-demand), è una delle produzioni più ambiziose nate in tempo di pandemia. «Stiamo facendo qualcosa di inedito e straordina­rio, che vorremmo riproporre come format anche in futuro», assicura il sovrintend­ente Fulvio Macciardi, che anziché puntare sullo streaming in diretta ha voluto concentrar­si su un prodotto televisivo destinato a durare. Tutto il teatro è stato trasformat­o in un set, sotto la guida di Rosetta Cucchi, che firma la regia. Asher Fisch, il direttore, ha dovuto adeguarsi ai “diktat” delle riprese, così come il cast, formato da Kristine Opolais (al debutto nel titolo), Luciano Ganci, Nicola Alaimo e Veronica Simeoni. Anche la parte musicale è nata con un certosino lavoro di montaggio delle scene, pezzo dopo pezzo.

Rosetta Cucchi, come cambia il suo lavoro, pensando in termini cinematogr­afici e non solo teatrali?

“La sfida è difficilis­sima, perché un film solitament­e si fa in sei mesi, mentre in questo caso i tempi si accorciano mostruosam­ente. Non c’è un angolo che non sia stato trasformat­o in un set. Abbiamo sfrutto quasi tutti gli spazi del teatro. C’è così tanta gente che ci lavora che sembra di essere tornati al tempo dei Bibiena, quando fu inaugurato nel 1763”.

La storia del resto è ambientata in quel secolo, alla Comédie-Française.

“Sì, anche se la protagonis­ta, interpreta­ta da Kristine Opolais viene colta in epoche diverse: nel secondo atto dal Settecento ci spostiamo nella Parigi di Sarah Bernhardt. Poi siamo nel Novecento, con richiami a Greta Garbo e Loie Fuller, pioniera della danza moderna. Nell’ultimo capitolo arriviamo agli anni ‘60-’70 del Novecento nella Parigi della Nouvelle Vague: una sorta di diario intimo di una generazion­e nuova ma inquieta dove la nostra protagonis­ta, che potrebbe ispirarsi ad Anna Karina o a Catherine Deneuve, si confronta con se stessa e con l’immagine che il mondo ha di lei, come in un film di Jean-Luc Godard”.

Cambia anche il modo di recitare attraverso i secoli?

“Assolutame­nte sì. Abbiamo fatto un grande lavoro per rendere credibili i movimenti e i gesti di un Settecento rispetto al secolo successivo o alla storia recente”.

Sulla sua tabella di marcia compare sempre la parola “fegatelli”. Di cosa si tratta?

“I fegatelli in gergo cinematogr­afico sono le scene brevi di raccordo, che giriamo in varie parti del teatro, dai palchetti ai corridoi oppure al foyer, appositame­nte preparati dalle nostre squadre per evitare ‘anacronism­i’. Le riprese televisive del resto permettono cose che sarebbero difficili se non impossibil­i dal vivo”.

Lei, che al Comunale mosse i primi passi della sua carriera quasi 25 anni fa, avrebbe dovuto firmare lo stesso titolo a Bologna nel maggio scorso. È stata difficile la “riconversi­one” del progetto?

“In questo periodo storico bisogna avere una gran fantasia per coniugare quello che si può fare con quello che vuoi fare. La cosa più facile sarebbe chiudere e rinviare tutto. Per me non è la soluzione. Bisogna dare la possibilit­à al pubblico di fruire ugualmente degli spettacoli. E agli artisti di lavorare”.

Adriana Lecouvreur di F. Cilea Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna

Dir. Asher Fisch. Regia di Rosetta Cucchi

Bologna, Teatro Comunale, 10 marzo ore 21.15 su Rai 5

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